Renzi ha perso. Non è stato il primo a dirlo, ieri notte, solo perché Salvini aveva così voglia di commentare il voto che probabilmente l’ha commentato anche da solo.
Renzi ha perso, con un’affluenza assolutamente inaspettata al 65,5%, che ha pure sconfitto i modelli che volevano che salissero le possibilità di vittoria del Sì insieme all’affluenza — in nome della regola per cui la maggioranza silenziosa rifugge il cambiamento. (Ignorando che questa stessa identica affermazione funziona ugualmente anche per il No. Questo è stato parte del problema, come vedremo.)
Tanti commentatori, in maniera, mi si perdoni, un pochino ottusa, stanno disperatamente cercando di collegare questa sconfitta a Brexit e alla vittoria di Trump. Ci sono tanti motivi per farlo: è narrativamente molto piú interessante, getta nelle mani dei vincitori il titolo di cattivi populisti nemici della patria vera — insomma, perfetti per essere attaccati dalla stampa da domani. Che è il lavoro della stampa, ma che in Italia non si fa mai. (E non si farà nemmeno quando il Matteo con cui confrontarsi sarà Salvini.)
La situazione a cui assistiamo in Italia, invece, è molto piú simile a quella francese, ovvero di un paese sostanzialmente tripartito— in Italia, senza dirvi chi sia chi, potremmo dire tra sbruffoni, incompetenti, e autoritari. (In base a come la pensate politicamente potete mettere chi volete in ognuna di queste categorie, ma c’è una risposta giusta)
In un contesto tripartito il problema della legge elettorale è praticamente irrisolvibile — l’unica soluzione semplice, o giusta, potrebbe essere quella del proporzionale, ma scenari di governabilità in quel caso prevedono comunque la necessità di alleanza tra forze sempre più polarizzate. Soprattutto, due di queste tre forze, che in questo momento si trovano all’opposizione, e una per propria scelta, hanno più volte fatto muso duro alla possibilità di coalizioni post–elettorali. Questo lascia solo una soluzione, che una delle tre coalizioni debba essere ampiamente sovrarappresentata a livello parlamentare, necessariamente, per garantire il funzionamento dello stato.
Questo, secondo Renzi, è il problema che il “Fronte del No” dovrà affrontare da domani. Ma questa è una follia, perché c’è una sola maggioranza parlamentare, ed è la sua.
Quindi, che ci metta la faccia o meno, il prossimo governo, o governo tecnico (che tecnicamente era anche questo), o governicchio, sarà sostanzialmente lo stesso. Quello che Renzi cercherà di fare, e ha già iniziato a costruire l’impianto di questa narrativa, è che lui con quello che succede in Italia da oggi non c’entra, anche se ha governato per gli ultimi due anni, e la situazione in Italia è la peggiore in tutta l’Unione, Grecia a parte — che resta in Europa solo per accanimento terapeutico.
Si apre così uno scenario di irresponsabilità totale da parte del Presidente–sconfitto del Consiglio, perché il voto non era sul governo, e no, non sta al Fronte del No governare oggi — perché il fronte del No non è un partito, ma semplicemente chi era contro Renzi. Se questo referendum fosse stato impostato in maniera salubre, si potrebbe concludere — se hai tutti contro, o sei un eroe, o avevi torto: e gli eroi non esistono. Ma questo referendum è stato impostato come elezioni di metà mandato: da tutti, non solo da Renzi, e il sistema di voto di un referendum non si presta a rappresentare le vere divisioni del Paese — Renzi lo ha chiamato un’accozzaglia, ma ha potuto chiamarlo così solo perché tutti erano lì.
Chiamarla accozzaglia, però, è sacrosanto, seppur forse un po’ privo di tatto — e l’accozzaglia non può governare, perché non è una coalizione. Se Renzi deciderà di non mettere la faccia sul prossimo governo — e ne ha pieno titolo, nemmeno è un parlamentare! — lo farà con irresponsabilità dettata soltanto dal desiderio di vincere le prossime elezioni. Se si tratterà, sul lungo termine, di una scelta saggia o follemente sconsiderata, non può ancora dirlo nessuno — così come nessuno può (ancora) valutare la qualità del voto degli italiani.
Ma lo sapremo presto.