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L’influenza dei media sulla forma fisica e i cambiamenti dei modelli culturali riguardo all’immagine corporea coinvolge da tempo anche gli uomini.

Mentre prima l’immagine maschile di virilità era maggiormente legata ad una prestanza lavorativa e alla copertura di ruoli sociali importanti, ora anche per l’uomo avere un bel corpo ed essere prestante fisicamente rappresenta uno dei requisiti fondamentali per avere successo.

Ciò ha contribuito a rendere la vigoressia, o anoressia maschile, un fenomeno in notevole aumento negli ultimi anni. Per comprenderlo meglio e analizzare la sua origine, the Submarine ha contattato la dottoressa Dora Aliprandi, psicoterapeuta individuale e di gruppo di ABA ― Associazione per lo studio e la ricerca su anoressia, bulimia e disordini alimentari.

Per quanto riguarda la “novità” del fenomeno, la dottoressa fa subito una precisazione, cioè che “l’aumento delle segnalazioni può essere anche legato alla rottura di un’omertà sociale: oggi parlare di vigoressia o di disturbi alimentari al maschile è possibile. Ci si è resi conto che la concezione del disturbo alimentare considerato tradizionalmente al femminile non è più veritiera. Il rapporto con il corpo è diventato anche per l’uomo un terreno per poter comunicare una sofferenza, per segnalare un complicato rapporto con sé, con il proprio mondo emotivo e relazionale. Nel corpo si cercano certezze e risposte che nella propria vita non si trovano.”

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Il tentativo di controllo è alla base sia della vigoressia sia dell’anoressia nervosa femminile, che dunque sono diverse solo in apparenza: “si cerca di controllare in modi diversi il cibo introdotto dentro di sé e il proprio corpo proprio perché si sente di non aver controllo sulla propria vita,” spiega la dott.sa Aliprandi, e continua: “il disturbo può accomunare nelle sue manifestazioni comportamentali molte persone, ma è importante tener presente che dietro ad ogni disagio c’è un individuo, con la propria storia, le proprie impronte digitali uniche e specifiche. Una persona, che spesso ha attraversato traumi, abusi fisici ed emotivi, fatiche nel rapporto con sé e con gli altri, che ad un certo punto della sua vita ha sentito di non aver altra via d’uscita che chiudersi in un tentativo quasi autistico di controllo sul proprio corpo.”

“La sofferenza non ha un peso, le emozioni non hanno numeri, il cibo e il corpo invece danno l’illusione che tutto possa essere chiaro.”

Solitamente i primi segni della vigoressia tendono a presentarsi in media tra i 15 e i 30 anni ― quindi durante l’adolescenza e la giovane età adulta ― ma le percentuali di casi sviluppatisi dopo i 30 sono in aumento, e si tratta in ogni caso di un fenomeno sottostimato: l’ossessione per il corpo viene spesso confusa con il prendersi cura di sé, uno stile di vita sano che, socialmente, non solo è ben visto ma anche incoraggiato.

“Ma una persona che soffre di un disturbo alimentare, a differenza di una persona che si prende cura del proprio corpo, ha la mente completamente occupata dal pensiero del cibo e dal controllo del corpo, va in crisi e prova angoscia se non segue in maniera precisa schemi prestabiliti e non rinuncia ad attività legate all’esercizio fisico per dare spazio ad incontri sociali”.

Foto via ABA (bulimianoressia.com)
Foto via ABA (bulimianoressia.com)

Infatti la marcata dipendenza dall’esercizio fisico e un’attenzione eccessiva alla dieta, che porta ad evitare di consumare del tutto alcune tipologie di cibi, sono i sintomi più evidenti della malattia. Ma ci sono altri indicatori. Come spiega la dott.sa Aliprandi, “questo comportamento è teso alla definizione del proprio corpo: quindi talvolta vengono anche utilizzate sostanze, legali e non, per questo scopo. Spesso la persona che soffre di vigoressia fa fatica a comunicare le sue emozioni e presenta difficoltà a livello relazionale. La difficoltà a riconoscere un valore a sé, una scarsa autostima, viene compensata dal raggiungimento e mantenimento di un’immagine corporea definita.”

Nonostante la rottura dell’omertà sociale è ancora molto difficile per un ragazzo chiedere aiuto, e per diverse ragioni. Innanzitutto, questi comportamenti vengono spesso considerati socialmente compatibili, confusi con la cura di sé, e “non si coglie la sofferenza insita e il loro carattere di ‘salvagente’: la persona che sente di affogare nella vita tende ad aggrapparsi a questa soluzione.”

In secondo luogo, l’essere colpiti da una patologia ancora considerata tipicamente femminile fa posticipare la richiesta di cura, ed è causa di sentimenti di vergogna e imbarazzo.

 

L’ABA ha rilevato che tra le persone che si rivolgono ai suoi centri, presenti in tutta Italia, il 17,3% sono uomini, un numero molto indicativo della diffusione della malattia, a maggior ragione se si tiene conto del fatto che è un dato sottostimato (come abbiamo appena visto, è ancora difficile denunciare il problema). E, come specifica la dott.sa Aliprandi, si tratta di un dato in forte aumento.

Secondo alcuni articoli esiste una correlazione tra vigoressia e omosessualità, ma la dottoressa Aliprandi è molto chiara su questo punto: di per sé “avere un orientamento omosessuale non è correlato con un aumento del rischio di sviluppare un disturbo alimentare. Purtroppo però essere gay può esporre l’individuo, soprattutto nel contesto culturale italiano, a difficoltà emotive o abusi psicologici per il fatto di avvertire la sensazione di non essere accolto in famiglia o deriso dai pari. Queste esperienze possono poi portare la persona a cercare nel rapporto con il corpo un tentativo di trovare un controllo e una soluzione al proprio dolore.”

 

Nella sua ventennale esperienza nel campo dei disturbi alimentari, ABA ha sviluppato una terapia di cura che si basa sul lavoro di un’équipe multidisciplinare che possa “cucire” un vestito su misura per la persona che soffre. “Non esiste la stessa ricetta per tutti, per questo si parla di vigoressie al plurale: dietro ad un sintomo c’è sempre una persona, con la sua storia, le sue difficoltà, le sue esperienze traumatiche.”

Proprio per questo, dunque, “è essenziale condurre una terapia che non si basi su un’esclusiva presa in cura del corpo ma che, invece, possa indagare il senso e il significato di questi comportamenti per l’individuo. Per queste persone è fondamentale trovare un luogo in cui poter mettere in parola il dolore agito attraverso il rapporto con il proprio corpo.”

Per fare il primo passo:
ABA
Numero verde 800.16.56.16
www.bulimianoressia.it