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La Corte Penale Internazionale è un tribunale con sede a L’Aia che giudica i crimini di guerra, genocidi e crimini contro l’umanità. Nasce nel 1998, normata dallo Statuto di Roma entrato in vigore dal 1 luglio 2002. Ne fanno parte 124 paesi e solo in questi la corte può intervenire — su singoli individui, non su stati. Uno stato non parte non è tenuto ad estradare i propri criminali. Fonda le sue radici nei grandi tribunali militari della Storia, quali Norimberga e Tokyo.

Le sue funzionalità hanno spesso tentennato a causa dell’assenza tra i firmatari di grandi potenze quali Russia, Cina e Usa — più precisamente Stati Uniti e Russia hanno sottoscritto lo statuto di costituzione del tribunale, ma non lo hanno ratificato.

Il Burundi è stato il primo paese a chiedere di uscire dalla Corte Penale Internazionale, il 12 ottobre 2016 all’indomani dell’apertura dell’inchiesta preliminare sul presidente Pierre Nkurunziza per crimini contro l’umanità: dall’inizio del suo primo mandato ad oggi sono morte circa 400 persone durante scontri con la polizia.

Nkurunziza è stato rieletto nel luglio 2015 per un terzo mandato, anche se la Costituzione pone un limite di due mandati. Nkurunziza è dunque in carica dal 2005, quando fu nominato dal Parlamento, ed è stato poi rieletto con voto popolare nel 2010: essendo un voto popolare il presidente ha forzato la Costituzione affermando che la prima elezione — non passando dalle urne, non contasse, e si è ricandidato. Il Burundi resta in allerta di imminente colpo di stato.

Il Sudafrica ha dichiarato il 21 ottobre scorso di voler uscire dalla Corte penale internazionale.  

“La Repubblica del Sudafrica considera i suoi obblighi per quanto riguarda la risoluzione pacifica dei conflitti spesso incompatibili con l’interpretazione data dalla Corte Penale Internazionale,” ha dichiarato il Ministro degli Esteri del paese.

La motivazione ha origine nel caso al Bashir di un anno fa, quando il presidente del Sudan Omar al Bashir, si trovava a Johannesburg in occasione di un incontro dei capi dei paesi dell’Unione Africana. La CPI, che aveva ordinato l’arresto del presidente in due mandati, nel 2009 e nel 2010, per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidi per il suo ruolo nel conflitto in Darfur, ha ricordato al governo sudafricano i suoi impegni nei confronti della comunità internazionale e di proseguire con l’arresto, ma il presidente del Sudan riuscì poco dopo a lasciare il paese.

La decisione di lasciare la Corte è un unicum nella Storia degli organi penali internazionali. Lo Statuto di Roma da cui nasce la CPI afferma che gli stati membri della Corte hanno diritto di ritirarsi, ma con un anno di preavviso e se ci sono dei processi in corso che li riguardano direttamente verranno in ogni caso portati a termine onde evitare che uno stato lasci la Corte una volta incriminato o obbligato ad estradare criminali.

La principale critica che viene mossa dagli stati africani nei confronti della Corte Penale Internazionale è di accanimento nei confronti dell’intero continente e, velatamente, di imperialismo: più della metà dei 124 paesi membri sono africani e i processi in atto dalla fondazione ad oggi hanno riguardato in maggioranza paesi e cittadini africani.

Dopo il Burundi e il Sudafrica è arrivato il turno del Gambia che il 25 ottobre ha espresso la volontà di uscire dalla Cpi — il copione è sempre lo stesso: il presidente Yahya Jammeh è stato incriminato per violazioni dei diritti umani.

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Yahya Jammeh è al quarto mandato e si propone per un quinto alle prossime elezioni. Questo ha portato il Gambia a nuovi scontri e i militari a nuove esecuzioni sommarie per sedare le proteste — e il paese sta velocemente scalando la classifica dei paesi più violenti del continente africano.

Il prossimo incontro sarà il 16 novembre e Sidiki Kaba, presidente dell’assemblea, ha invitato al dialogo gli stati che stanno prendendo in considerazione di lasciare il tribunale.  

Gli effetti di una possibile uscita di massa dei paesi africani potrebbero essere gravi perché la comunità internazionale perderebbe il ruolo di supervisore dei regimi presenti in tutto il continente africano.

Ken Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch, ha affermato che se gli Stati africani decideranno di lasciare la Corte, “non vi sarà più giustizia per gli innumerevoli africani che hanno subito omicidi, torture, stupri o sono stati costretti a diventare bambini soldato.”