“Noi vivremo in eterno in quella parte di noi che abbiamo donato agli altri”
Salvador Allende
Quando si pensa alla figura di Pablo Neruda si fanno subito due associazioni, la prima è naturalmente quella che va a collegarsi alla sua incessante produzione poetica, quindi che si concretizza prettamente sul suo lavoro, la seconda invece riguarda l’impegno politico, dove invece l’essere umano Neruda viene fuori in tutta la sua prorompente influenza.
Considerato come uno dei vati del Novecento, il poeta e senatore cileno viene spesso portato a esempio di virtù morale, e le sue opere sono citate da persone appartenenti alle più disparate fasce di censo, cultura ed età.
A intervenire su questa mastodontica figura è Pablo Larrain, che negli ultimi anni si è affermato definitivamente come uno dei cineasti più brillanti di questa generazione. L’intento immediato del regista è quello di andare da subito a sgretolare la figura totemica di questo personaggio storico e di svelarne tutte le debolezze e ambiguità, con il fine intermedio di mostrare un rifiuto rabbioso verso qualsiasi tipo di retorica e idealizzazione, utilizzando lo strumento della meta-testualità — di cui Neruda nel film, uomo reale e allo stesso tempo attore protagonista della sua vita, ne è l’astuto demiurgo.
L’uso del meta linguaggio svela un meccanismo molto sottile, che spesso condiziona il modo in cui un membro illustre di una collettività viene valutato e ricordato, vale a dire l’esibizione distorta di un eroe monodimensionale, che in questo caso si batte per il popolo (di cui non fa parte) con un fervore apparentemente disinteressato, proponendo un ideale semplice, che proprio per la sua capacità di regalare buoni (e facili) sentimenti a tutti, abdica dall’idea di mostrare la complessità e l’ambiguità di cui è composto il reale.
Il racconto nel racconto si concretizza nella strumentalizzazione che il Neruda uomo compie nei confronti delle persone che ha intorno, fino a renderle dei personaggi di un romanzo che lui stesso crea per tramutarsi in mito e che nel film si sostituisce alla storia vera. Le opere del poeta nel film sono in realtà racchiuse nel grado di separazione che si nasconde tra mitizzazione e realtà, tra ideale ed effettivo, e finiscono per imbambolare le persone più influenzabili, rendendole vittime inconsapevoli di un messaggio che usa il suo destinatario per glorificare se stesso e il suo autore.
Quest’opera segna un punto d’arrivo di un cinema che prende spunto da un argomento di partenza, collocabile in qualsiasi era, per parlare poi di un tema quanto mai attuale: il trionfo dell’immagine proposta al mondo esterno (ed esteriore), che sovrasta l’effettività del contenuto, diluendolo e mistificandolo, fino a farlo scomparire.