Trovare l’amore in Giappone è impossibile
Nel Paese del Sol Levante un terzo dei giovani non ha mai avuto una relazione e in molti affermano di non essere interessati ad averne una.
Trovare il vero amore è sempre stato difficile, ma mai come nel Giappone di oggi, dove un terzo dei giovani non ha mai avuto una relazione e in molti affermano di non essere interessati ad averne una.
In realtà, le statistiche del Ministero del Lavoro, della Sanità e del Welfare mostrano che il 90% dei single nella fascia 18-34 anni vogliono sposarsi ma il 60% di loro dice di non aver ancora incontrato la persona giusta.
Andare a caccia di appuntamenti può essere – anche a ragione – una seccatura, ma è di fondamentale importanza per il governo del Sol Levante, dal momento che il tasso di natalità non fa che diminuire. Per questo motivo lo stato ha deciso di finanziare incontri di match-making con lo scopo preciso di incoraggiare i giovani a sposarsi e ad avere figli.
La crisi economica che ha colpito il Giappone negli ultimi anni è uno dei fattori che ha inciso più negativamente sulla prospettiva del matrimonio: da una parte ci sono giovani uomini con lavori precari che non possono permettersi la vita matrimoniale, dall’altra giovani donne che cercano una maggiore sicurezza economica nel partner, e infine gli eterni single che formano un gruppo demografico a sé stante.
Diversi municipi hanno quindi cominciato ad utilizzare i big data per supportare i servizi di match-making e hanno ampliato l’offerta di “date nights” nella loro zona di competenza – cercando quindi non solo di far sposare i loro cittadini ma pure di farli rimanere nei paraggi e non farli migrare verso le grandi città.
Nella sua emulazione di Cupido, il governo giapponese non agisce da solo, ma con il valido aiuto di agenzie specializzate in matrimonio, come la Zwei.
Keiko Saimura, direttrice di Zwei, dice che “Dal boom dell’online dating 8 anni fa, rivolgersi a servizi di match-making è diventato un modo socialmente accettabile per conoscere potenziali partner” – cosa che in Italia era difficile ammettere prima di Tinder (che, ok, non è esattamente un servizio di match-making ma quasi).
“Un tempo, se eri single, la tua famiglia e i tuoi amici cercavano di trovarti qualcuno, senza che tu facessi niente,” continua Saimura.
Una passività che sopravvive nel comportamento di quelli che vengono definiti “single parassiti,” ovvero persone che non si assumono alcuna responsabilità nella loro vita, se non quella di fare shopping e socializzare in attesa di incontrare il principe o la principessa dei loro sogni – una categoria di persone che si estende ben oltre l’estremo Oriente.
Sempre secondo Keiko Saimura, un’altra delle ragioni del successo dei servizi di match-making – oltre alla “benedizione” statale – è il fatto che “nella vita di tutti i giorni non ci sono molte occasioni per incontrare gente nuova, noi invece offriamo questa opportunità.”
Aumentare le occasioni di incontro è senz’altro un buon modo per incentivare ‒ in prospettiva – il matrimonio e l’ampliamento del nucleo familiare, ma di certo non basta.
Il professor Yamada Masahiro, sociologo famigliare dell’Università Chuo di Tokyo, ricorda che in tempi di lenta crescita economica e incertezza lavorativa, gli incentivi per crescere un figlio sono molto pochi, anche perché “se i figli non hanno una vita migliore dei genitori, la società lo considera un fallimento dei genitori, o del figlio stesso – è questo che alla fine rende così bassa la natalità in Giappone.”
Viste le similitudini tra Giappone e Italia in tema di crisi del lavoro, incertezza economica e tassi bassissimi di natalità, forse non manca molto prima che anche il nostro governo decida che è ora di modificare il nostro status sentimentale su Facebook.