Quattordicimilaquattrocentottantasei. Tanti sono i Near Earth Asteroids (NEAs) finora osservati, ovvero asteroidi esterni alla Fascia Principale che orbitano vicino alla Terra. Piccola massa, piccola gravità, quindi relativamente facili da raggiungere per l’uomo. Più della Luna e più di Marte, perché in caso di atterraggio non ci sarebbero grandi cadute da “frenare.”
Per qualcuno, quelle decine di migliaia di pianetini sono miniere d’oro. Qualcuno come la Planetary Resources: società americana (spalleggiata da investitori del calibro di Larry Page, Google, e Sir Richard Branson, Virgin) che ha da poco messo piede in Lussemburgo. Non per motivi fiscali – non ancora almeno – ma per offrire al Granducato una visione. Quella di “fare l’impossibile ora,” come recita il motto della compagnia: viaggi spaziali senza precedenti e lo sfruttamento di una nuova frontiera energetica.
Parliamo di asteroid mining e più in generale di sfruttamento delle risorse spaziali in loco, cioè nello spazio: dall’estrazione di materiale asteroidale a procedimenti industriali e costruttivi in ambienti microgravitazionali. Sembrerebbe fantascienza (tra i consulenti della Planetary c’è il regista James Cameron) se non fosse che il Congresso USA ha approvato a novembre lo Spurring Private Aerospace Competitiveness and Entrepreneurship Act detto anche – benedetta fantasia – SPACE Act. Una legge che al titolo quarto recita: “Un cittadino degli Stati Uniti impegnato nel recupero commerciale di una risorsa asteroidale o risorsa spaziale è titolare della stessa e potrà prendere, possedere, trasportare, usare e vendere la risorsa asteroidale o spaziale secondo i limiti previsti dalla legge […]”.
Secondo alcuni, si tratta della più grande privatizzazione nella storia. A qualcosa di simile sta lavorando anche il Lussemburgo che ha pure annunciato un primo investimento – 200 milioni di euro – per lo sviluppo di tecnologie legate allo sfruttamento commerciale di comete e asteroidi vicini alla Terra. Sullo sfondo, un protocollo d’intesa tra la banca statale SNCI e la Planetary Resources firmato il mese scorso.
Tutto legale? Diciamo incerto. La “Costituzione” del diritto spaziale, il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, non specifica la questione, limitandosi a sancire l’uso pacifico ed equo dello Spazio e dei pianeti da parte delle nazioni. Più stringente è il Trattato sulla Luna del 1979 che, oltre a proibire usi militari e appropriazioni, prevede la creazione di un regime internazionale in materia di sfruttamento delle cose extra-terrestri.
“Sì. Però il Moon Treaty è stato ratificato solo da 16 stati tra cui nessuna potenza spaziale,” spiega a The Submarine Tanja Masson-Zwaan, professoressa di Diritto e Presidente dell’International Institute of Space Law di Parigi, “Quindi di fatto non abbiamo una legge sull’uso commerciale delle risorse spaziali. Per ora solo gli USA hanno legiferato in questa direzione, mentre nei prossimi anni la questione sarà discussa in Commissione ONU per l’Utilizzo Pacifico dello Spazio extraterrestre.”
La comunità internazionale ha appena cominciato a muoversi – il che significa niente soluzioni a breve – dato che l’uso dei NEAs sarà probabilmente uno dei prossimi nodi gordiani del diritto spaziale. Nel mentre, però, la decisione statunitense è di fatto inappellabile perché le nazioni sono sovrane e gli USA, se anche qualcuno volesse protestare, rifiutano dal 1986 la giurisdizione obbligatoria della Corte Internazionale di Giustizia.
“Effettivamente c’è qualcuno che teme una nuova gold rush,” continua Masson, “quindi la sfida più grande sarà trovare la quadra tra l’uso pacifico ed equo dello spazio e gli interessi dei privati. All’Università di Leiden stiamo così studiando i blocchi fondamentali di un sistema di governance globale delle risorse spaziali. E si possono fare interessanti analogie con l’industria satellitare e l’uso dell’orbita geostazionaria che l’ONU ha definito risorsa naturale limitata.”
Se dal punto di vista legale grande è la confusione sopra il cielo, un poco di ordine lo si può fare spiegando che cosa è l’asteroid mining e a che punto sono le tecnologie per lo sfruttamento degli asteroidi. “Innanzitutto non c’è una risposta su quali siano i NEAs interessanti per il mining,” dice a The Submarine Ian Carnelli, Programme Manager all’Agenzia Spaziale Europea e responsabile della Asteroid Impact Mission, “Perché ad oggi sono pochissime le missioni che hanno visitato asteroidi. Possiamo osservare questi corpi da Terra, ma finché non ci si avvicina e non si interagisce con la superficie, non è possibile capire esattamente di cosa siano fatti. I pochi frammenti che abbiamo grazie a meteoriti non solo hanno subito un processo molto forte di alterazione delle proprietà chimico-fisiche durante la fase di rientro, ma non è possibile estrapolare le caratteristiche di un intero asteroide da un piccolo frammento, perché non conoscendone la struttura interna non possiamo dire se sono omogenei.”
Le stime sono tante e contrastanti, ma un’analisi scientifica del valore di questi pianetini ad oggi è impossibile. Non mancano, al contrario, le idee su come sfruttare gli asteroidi in un futuro non troppo lontano.
“Una prevede di estrarre idrogeno e ossigeno da utilizzare come propellente. Una sorta di stazione di servizio spaziale,” prosegue l’esperto. “Un’altra prevede di estrarre risorse preziose e riportarle sulla terra. Personalmente credo molto più nella prima ipotesi perché i costi della seconda sono ancora molto alti. Per capirci, la missione OSIRIS-REx che porterà indietro qualche grammo di materiale asteroidale è costata circa un miliardo di dollari.”
Infine, c’è il gap tecnologico. “Be’ sul piano della navigazione ci siamo quasi,” chiosa Carnelli, “questo tipo di operazioni le stiamo già facendo con la missione Rosetta. Ma per manovrare servono ancora molti esperti e grandi infrastrutture come le sale di controllo che vedi nei film. Per quanto riguarda la robotica diversi strumenti di sampling, cioè per estrarre piccole quantità di materiale, sono allo studio, ma non certo tecniche appropriate a veri e propri carotaggi o estrazione di grandi quantitativi di materiale. Infine siamo piuttosto indietro sulle tecnologie per sfruttare in loco le risorse, ovvero trasformare il materiale grezzo in qualcosa di utilizzabile. Un conto è pensare di compattare il suolo per fare mattoni, come ad esempio si pensa di fare sulla Luna per costruire future basi. Un altro è estrarre, processare e riutilizzare i materiali asteroidali. Diverse ipotesi sono al vaglio, come usare laser presumibilmente a energia solare per evaporare la superficie, ma sono solo studi che necessitano di grandi sviluppi industriali.”
Insomma una tecnologia commerciale per trivelle spaziali ancora non c’è. Ma non è escluso che nel corso del prossimo decennio e con gli investimenti necessari – il Lussemburgo ha battuto un colpo – si facciano molti passi avanti. Allora in un futuro non troppo lontano, una volta scesi i costi delle missioni spaziali, i privati potrebbero entrare in scena come fornitori di servizi e infrastrutture. “Come è successo per strade e ferrovie, per intenderci,” conclude Carnelli. “Del resto l’utilizzo delle risorse spaziali in loco è un passo obbligato. Se come razza umana vogliamo un giorno andare nello Spazio in modo più incisivo, nel nostro sistema solare e al di là, bisogna per forza sviluppare queste tecnologie.”
L’asteroid mining s’ha da fare, dunque. Si farà e molto dipende da come verrà fatto. Dovessero arrivarci prima i governi, è però auspicabile che intervenga un sistema di controllo pubblico e mediatico, dato che le Agenzie spaziali, forse le uniche in grado di scavare asteroidi in tempi relativamente brevi, non hanno sempre fatto bene – vedi il problema dello space debris.
Aziende private. Trivelle spaziali. Ricerca scientifica. Dovrebbe suonare un ultimo campanello di allarme, se è vero che l’età moderna è anche storia di aggressività industriale.
“L’analogia che viene più immediata è quella farmaceutica,” racconta a The Submarine Andrea Tiengo, astrofisico responsabile della Classe di Scienze e Tecnologie alla Scuola Universitaria Superiore di Pavia. “Con una ricerca in parte finanziata dai privati c’è il rischio che si riducano i finanziamenti pubblici. E che la scienza più di base, lontana da utilizzi pratici immediati, veda i fondi pubblici dirottati verso studi più vicini ad applicazioni commerciali. La scienza come fine e non solo come mezzo, la scienza per la conoscenza, di questi tempi è culturalmente in pericolo.”
Detto ciò, scienza e tecnica sono poli di uno stesso campo e Tiengo, da astrofisico osservativo, sarebbe a dir poco felice se l’asteroid mining consentisse la nascita di benzinai spaziali, permettendo viaggi più economici e più lontani. “Sì. Anche per questo ostacolare l’intervento dei privati è sbagliato,” taglia corto l’esperto, “senza contare che fermare le ricerche commerciali sarebbe come svuotare il mare con un secchiello.”
Lo Spazio, però, è sempre stato il luogo della cooperazione scientifica: un po’ per necessità, un po’ per scelta politica, visto che sono i trattati internazionali a prevederne l’uso equo e pacifico. “La privatizzazione si inserisce in modo un po’ strano,” continua l’astrofisico, “a parte i satelliti spia, la condivisione di risorse e conoscenze è sempre stata la norma. Ora con le aziende private immagino una situazione intermedia: non ci sarà la riservatezza estrema dei militari, ma nemmeno una libera circolazione delle idee. Anche per questo sarebbe importante normare il più open source possibile.”
Le cose cambieranno. Forse in parte sono già cambiate: ad esempio il fatto di vedere lo Spazio come qualcosa di profittevole e non solo come un costo o una frontiera.
Certo è che gli asteroidi sono oggi un argomento in voga per molti: privati, legisti e agenzie. Mentre la stampa – spesso sensazionalista – e aziende come Planetary Resources pensano il genere umano sull’orlo di una rivoluzione tecnologica. Come se dopodomani, nello spazio, trovassimo un nuovo petrolio. “Parlare di cambiamento epocale mi sembra prematuro,” replica Tiengo, “mentre ci sono rivoluzioni molto più alla portata nel campo della ricerca. Quello che vedremo dalla scoperta delle onde gravitazionali, il grande enigma della materia oscura, che entro pochi decenni verrà probabilmente risolto, l’astronomia particellare che era impossibile fino a poco tempo fa…”
Lo sconvolgimento più vicino, insomma, sarebbe un nuovo modo di comprendere lo Spazio, piuttosto che nuove tecnologie per sfruttarlo.