Giorni 14, 15, 16: un sacco di posti
Tre giorni intensissimi da Bruxelles a Nantes, passando per Parigi. Tre giorni passati con care amiche (e alla ricerca del caricatore perduto).
Giorno 14: Bruxelles – Parigi
via Tournai, Lille Flandres, Amiens
Giorno 15: Parigi
Giorno 16: Parigi – Nantes
via Tours
Riemergo da una parentesi sociale che ha lenito il senso di solitudine appena emerso nel viaggio, e mi ha allontanato dalla mia testa, dove ero andata a ficcarmi in profondità.
Per dire, negli ultimi giorni ho incontrato amici, sono stata pigra e non ho scritto.
Oppure, mi immergo di nuovo nel viaggio in solitaria, scegliete quella che preferite, di formula, la sostanza è la stessa – o varia leggermente la prospettiva, immergersi o riemergere, qual è la dimensione in superficie, quale quella in profondità? Ma cosa sto dicendo. L’importante ora è che sono su un treno diretto a Bordeaux, e che sono di nuovo sola e che ho salutato dal finestrino, a Nantes, la mia amica francese, un’altra punta della mappa di persone che mi vogliono bene questa estate in giro per l’Europa. Che mi vengono a prendere in stazione, mi danno da mangiare, da dormire e stanno ad ascoltare mentre racconto dove sono stata e dove andrò poi, e pian piano mi riassesto alla dimensione sociale. Come stai, che cosa fai, l’università, sei innamorata in questo periodo e come sta tua madre. Parlo volentieri, ascolto ancora più volentieri e mi rilasso lasciando che siano gli altri, per due giorni, a decidere per me.
L’adrenalina cala a picco e sono sempre stanca, poi sono di nuovo sola e risale, ritrovo energia e lo zaino sembra pesare di meno. Ma questo potrebbe essere anche perché ho seminato oggetti lungo il percorso senza rendermene conto, non saprei, spero nella prima opzione.
Che ho fatto dunque in questi giorni che ancora non ho raccontato?
Bruxelles una mattina, e poi la sera ho bevuto pastis sotto la pioggia con la mia amica che è andata a vivere a Parigi, che abita a Montreuil, si muove a suo agio per le strade che ormai ha fatto sue, vive da sola, studia, lavora, agisce. Mi ha raccontato della militanza politica, dello stato d’emergenza, delle manifestazioni che lasciano per le strade mucchi di key-way neri e puzza di lacrimogeni. Se la polizia ti perquisisce e ti trova in possesso di key-way o occhialini, mascherine o maloox (buono per evitare di lacrimare causa lacrimogeni, pare) ti può arrestare preventivamente, o perlomeno impedirti di raggiungere la manifestazione, perché sono considerate armi difensive.
Mi ha fatto fare un tour della sua Parigi popolare, lontana dalla Tour Eiffel e dalla Senna, senza turisti, rigurgitante di vita, odori, gente che da tutto il mondo si riversa a vivere nella capitale, e le lingue e le etnie si ammassano, si mischiano, si confondono. E dall’alto di un parco, Parigi, grigia, è sterminata, senza confini, una regione. Crudele forse, a tratti. Difficile. Ma spira l’aria di potenzialità infinita delle città-universo, quelle città così grandi da essere mondi a se stanti, metropoli immense. E se fuori dai confini della città sterminata c’è vita, che vita è, e quanto è diversa.
Sto perdendo il filo e sto ingarbugliando il discorso, perdonatemi. Tre giorni di viaggio sono, forse l’ho già detto, un tempo lunghissimo e ora che metto mano alla penna – o meglio ora che batto sulla tastiera del computer, ma le penne sono sempre e comunque più poetiche – di cose da dire me ne vengono in mente troppe.
Da Parigi mi sono spostata a Nantes – così bella! – dove un’altra amica, amicizia da Erasmus, e quindi fittissima nonostante le distanze geografiche, perché abbiamo vissuto insieme l’appropriazione di una città nuova, e siamo diventate in parte famiglia.
Estelle studia legge e l’anno prossimo anche lei verrà risucchiata dall’universo parigino, per quanto lo guardi da lontano, con diffidenza e pregiudizio, come gran parte dei francesi che non vengono da Parigi quando parli loro della capitale. Una smorfia leggera e il proposito di starne il più possibile alla larga, senza poi riuscirci mai per davvero. È orgogliosa della sua città e me la mostra in lungo e in largo, si assicura che io mangi la specialità bretone, le galettes, crepes di grano saraceno, e che beva il sidro, come fanno loro, dalle tazze.
Che poi, da quel che ho capito, Nantes non è più, dal punto di vista burocratico, parte della Bretagna, e questa cosa ai suoi abitanti non piace per niente, perché si sentono Bretoni davvero e si seccano se altri francesi fanno notare che no, Nantes non è più Bretagna.
Poi ci sono proteste in corso per la costruzione di un aeroporto che nessuno vuole, e queste sono le politiche che ho captato e di cui Estelle mi parla volentieri, come mi parla volentieri degli Europei e di come era contenta quando l’Italia ha perso contro la Germania. “They’re cheaters” mi dice, non giocano mai secondo le regole, meglio che sian fuori, e boh, forse dovrei contraddirla per patriottismo, ma l’ultima partita dell’Italia che ho guardato l’ho passata a fissare un punto imprecisato tra il televisore e il muro, sbadigliando, quindi capite, la mia autorità in materia è pressoché nulla.
Verso sera le sponde del fiume si affollano di gente che beve birra e sta naso all’aria, in attesa dei rituali fuochi d’artificio del 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia. Mi ricordo, un Capodanno di tanti anni fa, che ero a Parigi con i miei e siamo andati sulla Senna per vedere i fuochi artificiali ma i fuochi artificiali non c’erano, perché sono esclusiva del 14 luglio. Ma questo che importa. Come si arrugginisce in fretta l’abilità di scrivere dopo che era diventata così fluida, bastano tre giorni e già si rischia di precipitare nell’afasia e il discorso procede a tentoni, s’inceppa, inciampa e inciampo io con lui.
È che prima stavo leggendo un libro scritto in italiano estremamente bene, La Scuola Cattolica di Albinati, non so se avete presente, ha appena vinto il Premio Strega. Se leggo una bella prosa l’emulazione mi viene spontanea, e scrivere è più facile.
Poi però ho perso il caricatore del kindle e il kindle si è scaricato e il libro non l’ho mai finito.
O meglio, non sono sicura di averlo perso, il caricatore del kindle, perché ricordo distintamente il momento in cui l’ho infilato da qualche parte e mi son detta, Bianca, se lo metti qui non lo troverai mai più. E infatti non l’ho trovato mai più. Dovrei darmi ascolto un po’ più spesso. Comunque, il fatto è che di libro ho dovuto comprarne uno nuovo, cartaceo, 1500 pagine perché vi ricordate quel che vi ho detto sulla mia passione per i libri ingombranti, ed è scritto in inglese. Il che porta all’emulazione della prosa inglese, scomoda se si deve e vuole scrivere in italiano, e dunque alla confusione linguistica, frustrazione, discorso che singhiozza, silenzio, melodramma, etc.
Tornando a casa, tardi, Estelle guarda sul cellulare la notizia dell’attentato a Nizza. La mattina, in cucina lei e sua madre ascoltano, silenziose, il telegiornale. 84 morti. Prolungheranno lo stato d’emergenza per due mesi ancora. La madre scuote la testa preoccupata, poi mi guarda, sorride, infila in una busta di plastica biscotti, frutta e acqua e mi fa promettere che tornerò un giorno a trovarla.