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“Ormai le olimpiadi fanno parte di uno scacchiere geopolitico, molto legate a questioni di stagnazione tra Stati Uniti e Nord Corea, tra Europa e Russia, tra Europa e Stati Uniti.”

Si sono conclusi ieri i 23° Giochi olimpici invernali: 18 giorni, 100 eventi, 92 nazioni e più di 3,000 atleti che si sono ritrovati nella città sudcoreana di Pyeongchang per gareggiare nel nome dello sport e della modernità. Un mega evento che si conclude lasciando posto prima alle Paralimpiadi e poi a un’altra fiaccola che si accenderà in Giappone per Tokyo 2020.

Da oggi quindi le luci sul sipario si spegneranno lentamente e la Corea del Sud dovrà fare i conti – come molti paesi prima di lei – con la triste e solida eredità lasciata dall’Olimpiade. Un evento mondiale costato all’erario più di 13 miliardi di dollari, rispetto ad una previsione iniziale di 8 miliardi, spesi principalmente per quattro nuovi impianti, due villaggi olimpici, il restauro delle vecchie strutture e uno stadio utilizzato solo quattro volte, due durante l’apertura e due in chiusura.

Proprio lo stadio, costato circa 109 milioni di dollari, è il simbolo dell’invasività di un mega evento come l’Olimpiade sul territorio: se il progetto prevede una capacità di 35,000 mila posti, la contea di Pyeongchang conta solo 45,000 abitanti. Un incongruenza invisibile, che deve rimanere tale perchè l’evento faccia il suo corso.

Giornalisti e commentatori hanno comunque sottolineato il potere distensivo delle Olimpiadi, che in questo caso hanno permesso a due nazioni in eterno contrasto come il Nord e il Sud della Corea di riavvicinarsi e dimostrare al mondo che il conflitto non è l’unica soluzione.

Carrellate di immagini con gli atleti delle opposte nazioni, sorridenti e in armonia, sono passate sui telegiornali di tutto il mondo, rafforzando quel lascito dell’antichità che vede l’olimpiade come momento di tregua dalle guerre. Anche il lato economico non sembrerebbe poi così disastroso, secondo una ricerca della Hyundai Research Institute le Olimpiadi in Corea del Sud genereranno un’attività economica dal valore di 40 miliardi negli anni a venire. Anche se, visto che la Hyundai è una società sudcoreana capitalizzata in borsa a più di 30 miliardi, la ricerca potrebbe sembrare di parte — un po’ come se nel 2006 la Fiat avesse prodotto lo stesso pronostico sulle Olimpiadi di Torino.

Ultima in ordine di fallimento l’Olimpiade di Rio, costata al Brasile 10 miliardi in più dei 3 inizialmente stimati e uno strappo sociale alimentato dalla caduta del governo di Dilma Rousseff. Così il sud america, che vedeva nelle olimpiadi l’occasione di rivalsa agli occhi del mondo, fallisce e tradisce per primi i suoi cittadini con strutture elefantiache che vanno a sostituire le uniche abitazioni accessibili per i propri abitanti.

Lo stesso spettacolo era andato in scena due anni prima in Russia, per le Olimpiadi di Sochi, che avevano battuto il record di Olimpiadi più costose con una spesa di quasi 50 miliardi di dollari — per le quali in sostanza si deve ringraziare lo stato della corruzione in Russia, le minacce di terrorismo, la scelta di un territorio non adatto ad ospitare un evento di questo tipo e di sicuro non la gloriosa riuscita delle sue infrastrutture.

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Si potrebbe continuare con esempi simili fino ad arrivare alla fondazione delle moderne olimpiadi nel 1896, quando Pierre de Coubertin scelse Atene per rifondare la tradizione greca degli antichi giochi ad un costo di mezzo milione di dracme, superando però il budget di dieci volte. Una ricerca della Saïd Business School of Oxford ha dimostrato che le Olimpiadi sono tra i mega eventi con più probabilità di sforare il proprio budget iniziale, e non di poco. Le Olimpiadi invernali di Sochi hanno superato del 289% il proprio budget, mentre Montreal (1976) lo ha sforato del 720% creando un debito che è stato appianato solo dopo trent’anni.

Il problema più grande, oltre ai buchi economici, sono le cattedrali nel deserto (o white elephants come vengono definiti in inglese) che si lasciano alle spalle — strutture che molto spesso smettono di avere una funzione specifica al termine della cerimonia di chiusura. Il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, ha cercato di porvi rimedio chiedendo ai paesi ospitanti di presentare progetti che rispettino i principi della sostenibilità energetica e ambientale. Se su carta quindi la parola legacy rimane il baluardo dell’impegno olimpionico per un modello organizzativo sostenibile, per ora l’unica eredità tangibile lasciata dalle ultime olimpiadi è una serie definita di strutture decadenti e inutilizzate.

14 anni dopo, le strutture abbandonate di Atene sono la lapide di un paese ancora sull’orlo del fallimento.

La persona che in Italia si è occupata con più attenzione degli intrecci che si creano tra mega eventi e società contemporanea è Enrico Masi, regista e ricercatore dell’Università di Bologna. A partire dal 2012, per la sua tesi di ricerca, ha prodotto due lungometraggi sul tema: The Golden Temple (2012) e Lepanto – Ultimo Cangaceiro (2016), il primo dedicato alle Olimpiadi di Londra e il secondo a quelle di Rio. Entrambi i documentari descrivono l’olimpiade come un evento demolitore, incapace di fare i conti con la società e i suoi lati più deboli.

Fotogramma tratto da “Lepanto - Ultimo Cangaceiro”
Fotogramma tratto da “Lepanto – Ultimo Cangaceiro”

Oggi Enrico è tornato ad occuparsi di Olimpiadi e mega eventi in occasione della candidatura di Parigi per i giochi olimpici del 2024, una candidatura che si inserisce in un evento ancora più grande che è il progetto Grand Paris — un piano urbanistico con risvolti socio-culturali che mira a trasformare Parigi in una capitale dal carattere mondiale, ancor prima che europeo.

“Ormai le olimpiadi fanno parte di uno scacchiere geopolitico, molto legate a questioni di stagnazione tra Stati Uniti e Nord Corea, tra Europa e Russia, tra Europa e Stati Uniti, e così via,” ci spiega senza troppi giri di parole Enrico.

“Rio è stato un grande insuccesso, al contrario di Londra che è riuscita in parte a valorizzare gli investimenti e a fare cassa, quindi a dare un’immagine di potenza durante la crisi economica. Era la prima metropoli globale ad ospitare i giochi per la terza volta e Parigi sarà la seconda a raggiungerla, questo in sostanza decreta quali sono le capitali mondiali nel ventunesimo secolo. Se da una parte Londra è riuscita a imporre questa immagine di successo, Rio invece è piombata in un fallimento finanziario e sociale, questo ha portato il CIO a prendere la decisione, nel 2017, di assegnare i giochi a due città contemporaneamente. Questo è una dato fondamentale: con i soliti sette anni di anticipo viene decretata non solo la capitale del 2024, Parigi, ma anche Los Angeles 2028. Non solo per evitare ritardi strutturali, ma soprattutto per conferire stabilità. Questo sposta in avanti il gioco della sicurezza strutturale e geopolitica, sarà interessante vedere se questa scelta diventerà prassi.”

Masi colloca il discorso delle Olimpiadi in un schema più ampio, che parte dalle teorie di Naomi Klein, secondo cui i mega eventi si possono ricondurre alle teorie sulle emergenze e crisi.

Secondo la Klein, l’emergenza permetterebbe possibilità di movimenti e un’azione più veloce e meno controllata, la gestione di una crisi invece prevederebbe una costruzione d’intervento più strutturata e controllata, ed eventualmente più partecipata. I mega eventi come le olimpiadi quindi sono gli unici contesti in cui un paese può affrontare una crisi strutturale e sociale.

“Come dicono i genovesi ogni volta che esci di casa ti porti giù qualcosa o ti porti su qualcosa. La città funziona allo stesso modo, ha bisogno di un pretesto per attivarsi. Prendiamo come esempio Milano e l’Expo, la città aveva bisogno della rivoluzione di Expo, sarebbe servita comunque, al di là dell’evento. Nel momento in cui il nostro paese era in crisi, Expo è servito a lanciare il made in Italy agli occhi del mondo. A livello di tempismo la storia non è sempre stata così precisa, ma basta prendere il caso della Corea del Sud e si vedrà come la scelta è perfettamente allineata con l’agenda politica mondiale, così anche il caso di Parigi servirà alla città per riprendere la leadership europea lasciata dall’Inghilterra. L’Olimpiade di Rio invece serviva ad un rilancio terzomondista che non ha avuto i frutti sperati, in questo senso i mega eventi sono un rischio per il capitalismo, nel caso specifico senza rischiare su se stesso. È stato un rischio in senso neo-coloniale.”

Nel caso di Pyeongchang, la Corea del Sud  è riuscita a costruire un’Olimpiade sobria, senza troppe aspettative, mantenendo tutte le promesse fatte. Ma la storia recente delle olimpiadi è invece una lunga serie di fallimenti architettonici, finanziari e sociali che ancora oggi mostra in bella vista i segni dell’incapacità delle nazioni di prendersi carico di mega eventi di questa portata.

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