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Il tono e la pacchiana volgarità di questi quotidiani sono a tutti gli effetti un danno all’immagine di questi brand.

Oggi Il Tempo, quotidiano che ha deciso dopo i casi degli stupri della settimana scorsa di giocarsi la carta del fascismo per contendersi qualche lettore in più, ha deciso di non titolare il proprio giornale, in risposta alla polemiche emerse sull’apertura razzista e fattualmente completamente infondata sulla malaria.

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Purtroppo non sappiamo consigliare la redazione del Tempo — tutti i nostri titolisti sono impegnati in Hello, World — ma abbiamo comunque un consiglio da dare. Proprio sulla parte superiore della prima pagina.

Questo:

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Lo scandalo montato attorno al Tempo e a Libero non è solo giusto, è dovuto: le posizioni di intolleranza sono fuori dalla società, e come tali, non hanno nessun diritto — nemmeno la libertà di essere espresse: non lo dice solo the Submarine, e nemmeno solo Karl Popper, lo dice l’articolo 21 della Costituzione.  


Stiamo facendo una campagna di crowdfunding per riuscire a tenere a galla the Submarine anche l’anno prossimo: se ti piace il nostro lavoro, prendi in considerazione l’idea di donarci 5 € su Produzioni dal bassoGrazie mille.


Sono tante infatti le organizzazioni, tra cui Amnesty International Italia, che si stanno muovendo per denunciare i due giornali per aver violato la legge Mancino del 25 giugno 1993 contro gesti, azioni e slogan nazifascisti, e per violazione dell’articolo 658 del Codice penale, per procurato allarme.

Anche sindacato e Ordine hanno attaccato i quotidiani, sottolineando che “il ricorso a titoli sensazionalistici e privi di riscontri oggettivi nei confronti di persone straniere, oltre a minare la credibilità dell’informazione, viola il testo unico dei doveri del giornalista, in particolare in materia di diffusione di notizie sanitarie.”

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In qualche modo, tuttavia, tutto questo drama — in particolare la ricondivisione dei titoli su social network — non solo non è dannoso per i giornali fascisti, ma è altamente proficuo: con lo slittamento a destra della conversazione politica globale le voci estremiste trovano nuova tolleranza delle proprie posizioni retrograde e possono finalmente provare a comunicare apertamente con il proprio pubblico. Dalla Verità a Libero, passando per il titolo di ieri del Tempo, queste redazioni si stanno disperatamente contendendo gli ultimi lettori affamati d’odio che ancora comprano giornali — alla faccia di essere una nicchia — e diffondere a macchia d’olio il loro messaggio non solo rende la realtà un posto più brutto, ma è effettivamente funzionale al loro scopo.

C’è qualcosa che — noi che quei giornali non li compriamo — possiamo fare per fermare l’odio sistemico inneggiato da queste testate: chiedere alle aziende che pubblicano pubblicità sulle loro colonne di smettere di farlo. Non è una pretesa irragionevole, anzi: il tono e la pacchiana volgarità di questi quotidiani sono a tutti gli effetti un danno all’immagine di questi brand. Un danno dal quale queste aziende hanno non solo la necessità ma il diritto di proteggersi.

In particolare, è difficile immaginare che Ristora e MD, la catena di discount che appariva a fianco alla testata del Tempo di ieri, escano positivamente dall’associazione di messaggi d’odio così sfrontati.

Negli Stati Uniti, sempre più agenzie di pubblicità online programmatic, da AppNexus a Trade Desk, evitano siti che incitano all’odio come Breitbart: alcune offrono la possibilità di vendere spazi sul sito direttamente, ma lo hanno escluso dal proprio circuito convenzionale, altri l’hanno completamente messo al bando.

Facebook, che tra tutte le aziende della Silicon Valley è quella che indubbiamente in questi anni si è dimostrata più moralmente compromessa di fronte al dio della pubblicità, non ha ancora abbandonato Breitbart, e sono tantissimi i marchi che stanno facendo pressione contro il social network, ritirando le proprie inserzioni pur di non apparire sul sito.

Ristora e MD sono particolarmente colpite a livello di immagine dalla virulenza dei due quotidiani, ma ad onor del vero entrambi hanno pochissima pubblicità sulle proprie colonne — forse, vogliamo sperare, perché fanno fatica a venderla. Alcuni nomi che non dovrebbero esserci, però, ci sono:

  • Alcar (Libero)
  • Bricofer (Il Tempo)
  • Bellwood (Libero)
  • Dianova (Libero)
  • ENI (Libero)
  • Esselunga (Il Tempo)
  • Federazione Italiana Editori Giornali (Libero)
  • It Taxi (Il Tempo)
  • Jeckerson (Il Tempo)
  • Lauretana (Libero)
  • Massoni gioielli (Il Tempo)
  • Università Telematica Pegaso (Il Tempo)
  • Poste Italiane (Libero)
  • Prosciutto toscano (Libero)
  • Rolex (Libero, Il Tempo)
  • Università San Raffaele (Libero)
  • Poliambulatori San Raffaele (Il Tempo)
  • Soldini (Libero)
  • Tinaba (Libero)

E questi sono i brand che hanno pubblicato pubblicità solo negli ultimi 7 giorni, in cui è montato questo scandalo. Ma il fascismo di Libero e il Tempo non è esattamente cosa nuova, e la lista è ben più lunga.

Come dicevamo, i cartacei di questi giornali sono in realtà abbastanza magri di pubblicità. Cosa ben diversa si può dire dei loro siti internet, invece esempi da manuale di come non si fa pubblicità online, con pagine così coperte dai banner dall’essere letteralmente illeggibili — perché, appunto, completamente coperte.

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System 24 — che per Libero cura anche la pubblicità su cartaceo nazionale (la locale, di Milano, tutta piuttosto colorita e che per questo non tiriamo in ballo, è gestita da SpeeD) — offre pubblicità su Libero all’interno del proprio Network 24, una rete di “giornalismo di alta qualità” che comprende i siti del Sole e di Affari Italiani, Blitzquotiano, Dagospia, Famiglia Cristiana, Globalist, Il Foglio, Libero, L’Osservatore Romano, il Secolo d’Italia, e l’Unità.

Chissà se Red Bull e Sky sono contenti
Chissà se Red Bull e Sky sono contenti

La pubblicità offline e online del Tempo è gestita invece da Sport Network, che gestisce gli account per Corriere dello Sport, TuttoSport, e una schiera di verticali sportivi online — una sorta di polo dell’uomo forte italiano.

Il problema si pone anche su un piano superiore: quando questi network non offrono pubblicità sui siti, sia il Tempo che Libero riparano sui network pubblicitari di Google, che malgrado lunghe tensioni non si è ancora aggiunto alle più di mille agenzie che hanno abbandonato Breitbart.

Se quindi Google non è probabilmente un interlocutore in questa conversazione, System 24 e certamente tutte le aziende che si sono trovate sui cartacei di Libero e il Tempo devono fare qualcosa. Il danno subito ai loro marchi è gigantesco ma non irreparabile, e una dimostrazione di forza contro i lanci misogini e razzisti dei due quotidiani aiuterebbe certamente a rifarsi agli occhi del pubblico più vasto.

[divider]DISCLAIMER[/divider]

A proposito, anche the Submarine è un giornale, e anche the Submarine pubblica pubblicità. Questo giornale, tuttavia, non incita all’odio verso nessuno, né pubblica notizie false, né risponde all’agenda elettorale di alcun partito politico. Se volete pubblicizzare sul nostro sito invece che su Libero e il Tempo, la mail a cui scrivere è ads (at) thesubmarine.it

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.