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Domenica è letteralmente l’ultimo giorno per siglare un accordo post–Brexit prima della fine dell’anno. Ma il governo Johnson vuole davvero un accordo? E soprattutto, in caso di emergenza, si potrebbe estendere il periodo di transizione all’ultimo minuto?

Giovedì sera Boris Johnson e Ursula von der Leyen si sono di nuovo sentiti al telefono per discutere dei negoziati sull’accordo post–Brexit. Al termine della conversazione von der Leyen ha pubblicato un breve comunicato, in cui dice che i due leader hanno fatto “progressi sostanziali” su molti fronti, ma che rimangono ancora molte divergenze da coprire — in particolare riguardo alla questione della pesca. Johnson ha descritto la situazione in un modo diverso, scrivendo su Twitter che “la posizione dell’Unione europea deve cambiare sostanzialmente.” 

Nel comunicato di Downing Street si legge che restano aperte ancora questioni anche riguardo il “level playing field,” ovvero l’obbligo per il Regno Unito di non abbassare i propri standard per fare slealmente concorrenza all’Unione europea. Si tratta di una vera e propria corsa contro il tempo: il Parlamento europeo ha avanzato ieri quasi un ultimatum ai negoziatori, ricordando che l’ultima data per avere il tempo di ratificare l’accordo è questa domenica. In caso contrario, in meno di due settimane il Regno Unito dovrà affrontare un’uscita no deal potenzialmente caotica e certamente di grave impatto economico.

Ma come si è arrivati a questo punto? Siglare un trattato post–Brexit in un anno era già considerato da molti un’impresa quasi impossibile, e con la pandemia sarebbe stato solo ragionevole da parte del Regno Unito chiedere un’estensione del periodo di transizione oltre il 31 dicembre 2020. Ma anche questa estensione aveva una scadenza — quella del primo luglio. E all’epoca, il governo Johnson ha deciso che non gli sarebbe servito altro tempo. Oggi, di fronte ai segnali vagamente positivi delle scorse settimane, però, una estensione — anche solo di qualche settimana — sembra una soluzione necessaria seppur creativa.

Tutto questo ammesso e non concesso che ad un accordo ci si possa arrivare. Fin dal 2019 è stato difficile interpretare il comportamento del governo Johnson, spesso così oltranzista da lasciare il dubbio che mirasse a uno scontro frontale e a una pericolosissima uscita no deal. In modo molto simbolico sembra che l’ultimo punto rimasto in sospeso sia proprio quello della pesca, già al centro della questione nazionalistica fin dall’inizio, quando era uno dei capisaldi della retorica brexista, con tanto di manifestazione in barca lungo il Tamigi capitanata da Nigel Farage. Sì, non ce ne siamo dimenticati.

Show notes

In questa puntata sono con voi: Stefano Colombo @stefthesube Alessandro Massone @amassone. Per non perderti nemmeno un episodio di TRAPPIST, abbonati su Spotify e Apple Podcasts.

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