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Nel 2019, il paese guidato dal dittatore al-Sisi è stato il primo beneficiario dell’export di armi italiane, per un totale di 871,7 milioni di euro

Soltanto due giorni fa il ministro degli Esteri Di Maio rassicurava che la vendita di due fregate Fremm all’Egitto non era ancora stata decisa, e che il governo avrebbe svolto una “valutazione politica” sul caso. Dev’essere stata una valutazione molto veloce, perché — come riporta la Repubblica, citando fonti del governo — la partita è “chiusa.” L’annuncio sarebbe stato dato da Conte in persona durante il consiglio dei ministri, con un argomento paradossale: “La vendita delle fregate è un’operazione commerciale, nulla ha a che fare con la ricerca della verità per la morte di Giulio Regeni. Al contrario, soltanto i canali aperti possiamo davvero pensare di ottenere qualcosa dall’Egitto.”

Una posizione simile a quella assunta dal Movimento 5 Stelle per voce del suo provvisorio capo politico Vito Crimi, secondo cui “non vendere le fregate non avrebbe portato nessun valore aggiunto nel percorso per raggiungere la verità sulla morte di Giulio Regeni.” “Vorrei sottolineare,” ha detto Crimi, intervistato da Peter Gomez nel suo programma Sono le venti, “che non stiamo regalando le navi ma le stiamo vendendo, l’Egitto le ha chieste a vari paesi e noi abbiamo la possibilità di fornirle, di fatto è una manovra di tipo ecomomica.”

Conte, finora, si è rifiutato di parlare pubblicamente della vicenda, trincerandosi dietro al fatto che riferirà “appena possibile” davanti alla commissione d’inchiesta. Nella maggioranza le voci contrarie sono davvero poche e timide. Come al solito registriamo quella di Matteo Orfini, che lunedì presenterà alla direzione del Pd un ordine del giorno che chiede di interrompere la vendita di forniture militari all’Egitto.

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Le polemiche dei giorni scorsi e la dura reazione della famiglia Regeni, che ha detto di essersi sentita “tradita” dal governo, non sono servite a nulla. D’altra parte, questo caso è scoppiato soltanto per la telefonata tra Conte e Al-Sisi in cui sarebbe stato sbloccata direttamente la vendita delle fregate, ma l’Italia fa affari militari con l’Egitto da anni, mostrando un sostanziale disinteresse per la verità sull’omicidio di Giulio Regeni. A fine gennaio, quarto anniversario della scomparsa del ricercatore, la collaborazione tra autorità italiane e egiziane era sostanzialmente ferma, a causa dell’ostruzionismo degli investigatori egiziani: l’ultima rogatoria risale a un anno fa, quando è emersa la testimonianza di un uomo che avrebbe ascoltato un funzionario della Amn el-Dawla, agenzia di sicurezza nazionale che fa capo al Ministero dell’Interno egiziano, ammettere il pedinamento e il sequestro di Regeni, sospettato di essere una spia. La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati 5 agenti dell’Ann el-Dawla, ma senza una vera cooperazione giudiziaria con il Cairo queste indagini sono destinate a rimanere sulla carta.

In compenso, nel 2019 l’Egitto è stato il primo destinatario dell’export italiano di armamenti, per un totale di 871,7 milioni di euro. La commessa di cui si parla ora vale, da sola, più di 1,2 miliardi: oltre alle due fregate Fremm ci sono altre quattro fregate, 20 pattugliatori e 24 caccia eurofighter.

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Vendere armi all’Egitto non è problematico solo per le singole vicende giudiziarie di Giulio Regeni e Patrick Zaki, ma, più in generale, perché l’Egitto di Al-Sisi è una brutale dittatura che perseguita abitualmente giornalisti e attivisti — oltre ad essere alleato, in Libia, di Khalifa Haftar, nemico del governo di Tripoli appoggiato anche dall’Italia. Dall’inizio della pandemia sono stati arrestati in Egitto almeno dieci giornalisti, mentre nell’ultima settimana le autorità stanno prendendo di mira le giovani influencer su TikTok, accusate di “diffondere immoralità.” Ieri Human Rights Watch ha chiesto al governo francese di bloccare la vendita di armi al Cairo.


In copertina: Giuseppe Conte in visita al Cairo, 14 gennaio 2020, via