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L’acquisto del Newcastle United è solo l’ultima operazione finanziaria dei potenti del Golfo. Dietro alle società proprietarie di molte squadre di calcio europee si nascondono gli interessi di Paesi che violano i diritti umani, come l’Arabia Saudita

Il 7 ottobre i tifosi del Newcastle United hanno festeggiato l’arrivo dei nuovi proprietari. La squadra bianconera della Premier League inglese non vince un trofeo dal 1969 e l’acquisto della società da parte del fondo di investimento saudita (PIF – Public investment fund) per 300 milioni di sterline è stato visto come un segnale di rinascita. Il principe saudita Mohammed bin Salman possiede ora l’80 per cento del club. 

L’operazione Newcastle è l’ultima di una lunga serie di manovre finanziarie sulla Premier League guidate dai paesi del Golfo.  Oggi lo sportwashing è diventato più accessibile anche e soprattutto grazie alla potenza economica e finanziaria dei governi dell’area: lo sport è diventato così la punta di diamante della strategia di soft-power che questi regimi portano avanti. Il soft-power è stato definito dallo scienziato politico Joseph Nye come “l’abilità nella creazione del consenso attraverso la persuasione e non la coercizione.” E in quest’ottica lo sport è uno strumento di geopolitica perfetto, che permette ai regimi di farsi belli agli occhi degli altri e attirare così consensi esteri. 

I primi a utilizzarlo in grande stile sono stati gli Emirati Arabi Uniti, con l’acquisizione nel 2008 della squadra inglese del Manchester City, contornata da varie sponsorizzazioni ad Etihad Airways ed Emirates a varie squadre e leghe calcistiche. Poi è stato il turno del Qatar, con l’acquisizione del Paris Saint-Germain nel 2011 attraverso il fondo sovrano del Paese – Qatar Investment Authority. Il Qatar sta anche organizzando l’edizione dei mondiali di calcio del 2022 — un’operazione di sportwashing ancora più problematica, dato che che per costruire le infrastrutture necessarie sono morti migliaia di operai immigrati a causa del totale disinteresse per le condizioni di lavoro.  

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Attraverso l’Aspire Academy, il Qatar ha comprato diversi club europei come il Cultural Leonesa e la squadra belga KAS Eupen. Parallelamente, con degli investimenti indiretti, ha cominciato ad acquistare le quote societarie di altre importanti società. Prima di tutto con la Barclays – principale sponsor della Premier League fino al 2016 – nel 2008 con una controversa acquisizione di capitali. .Tutto questo per attirare nuovi investitori utili per il progetto “Qatar National Vision 2030”, un programma di modernizzazione economica del paese basato sullo sviluppo sostenibile.  

Si è così innescata una specie di competizione di queste “vision.” Nella stessa ottica, per non rimanere indietro, si è mossa infatti proprio l’Arabia Saudita, che ha avviato il progetto “Saudi Vision 2030” nel 2016 con l’obiettivo principale di rendere la propria economia meno dipendente dal petrolio. Questo programma ha puntato molto sul potenziale propagandistico del calcio: il peso economico e visivo della lega calcistica più importante e glamour del mondo la rende molto adatta a ripulire adeguatamente la propria immagine. L’Arabia Saudita, e di conseguenza il PIF, è rappresentata infatti dal principe ereditario Mohammed bin Salman, protagonista delle violazioni dei diritti umani all’interno del Paese: dall’arresto di attivisti all’uccisione di dissidenti — secondo un rapporto ONU è il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, la guerra in Yemen e così via.

L’acquisto è stato favorito anche dalle distensioni politiche fra Arabia Saudita e Qatar dopo la dichiarazione di Al-Ula che ha posto fine ai tre anni e mezzo di embargo al Qatar. Nel 2017,  Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrain avevano congelato le relazioni diplomatiche con il Qatar a causa del supporto di Doha a gruppi islamisti come i Fratelli musulmani.  Con gli accordi di Al-ula, la compagnia qatarina beIN Media Group ha ripreso a trasmettere anche in Arabia Saudita. 

Inizialmente, l’affare Newcastle era stato infatti bloccato su pressioni di del Qatar attraverso il proprio broadcast beIN Media Group – titolare dei diritti tv della Premier League – che, a seguito delle tensioni tra i due Stati, non trasmetteva in Arabia Saudita. Per contrastare questo embargo, era stata creata la piattaforma pirata beaoutQ per trasmettere in modo illegale i programmi appartenenti alla rivale qatariota con l’obiettivo di danneggiarla. In una lettera inviata da beIN, il gruppo televisivo chiedeva di “valutare con attenzione le proposte di potenziali acquirenti che hanno arrecato danni ingenti alle entrate commerciali delle società e della stessa lega” e si chiedeva di condurre indagini sui futuri acquirenti del Newcastle United. La stessa Premier League aveva bloccato l’acquisto poiché il PIF non riuscì a dimostrare di essere separato dal controllo del governo saudita.

Da una parte ci sono quindi le società inglesi che si sono opposte per più di un anno a quest’acquisizione, timorose della potenza economica del fondo saudita – si stima che superi i 300 miliardi di sterline – e il Qatar che si è opposto per motivazioni politiche. Dall’altra abbiamo la società civile, che ha guardato a questa acquisizione da un punto di vista etico. I primi a mostrare il loro dissenso sono stati i giornalisti del Guardian. In un articolo intitolato “Saudi takeover of Newcastle leaves human rights to fog on the Tyne,” David Conn afferma come il riciclaggio di denaro e la difesa della reputazione del campionato passino sopra alle palesi violazioni dei diritti umani del regime. Anche Amnesty International si è espressa chiedendo ufficialmente di bloccare la trattativa perché “è un chiaro tentativo, da parte del regime dell’Arabia Saudita, di ripulire la propria immagine internazionale e nascondere la mancanza di diritti umani nel Paese.”

Pressioni che continuano e continueranno ad arrivare — Hatice Cengiz, la fidanzata di Jamal Khashoggi, in un tweet ha mostrato il suo disappunto davanti alle piazze in festa di Newcastle — ma senza risultati. La governance calcistica sembra non aver scrupoli morali in questo senso e anzi ha posto le basi perché queste operazioni accedessero a patto che entrino ulteriori soldi nelle lsue casse. Il silenzio delle istituzioni calcistiche di fronte alle palesi violazioni del regime saudita dimostra ancora una volta come un certo tipo di politica vada bene alla UEFA, mentre altre siano bloccate sul nascere perché danno fastidio proprio a regimi “amici.”

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In copertina: foto Krissyreynolds / Pixabay