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Nel corso dell’estate, se usate servizi di Google, e li usate, se siete persone del 21esimo secolo, vi siete imbattuti in un box in cui Google vi avvisava: sono cambiate le nostre policy di privacy.

La reazione del pubblico è stata tiepida: l’altra faccia degli scandali sollevati da Snowden e Greenwald è che — sebbene siamo finalmente molto piú coscienti di cosa facciano gli Stati dei nostri dati — non ci si scandalizza piú di quello che fanno le aziende: si fanno cose talmente terribili con i nostri dati, che OK, se Facebook e Google vogliono spiarmi per scoprire che sto cercando un orologio nuovo per farmi vedere pubblicità di orologi nuovi, meh, posso anche farmene una ragione.

Non aiuta la causa di chi vorrebbe essere finalmente indipendente da questi servizi che questi colossi offrano prodotti sensibilmente piú avanzati di quelli dei concorrenti, proprio grazie alle libertà che si prendono nel trattare con i nostri dati: Google Photos è un prodotto migliore di Apple Photo, il feed di Facebook è piú interessante per  l’utente medio della timeline di Twitter.

Ma cosa c’era scritto in quell’update alla policy? Cose abbastanza terribili.

Nel 2007 Google ha acquisito la rete pubblicitaria DoubleClick. DoubleClick conserva e gestisce un gigantesco database di cronologia web: traccia attraverso le proprie pubblicità ogni passo di un utente ed è in grado di fornire all’inserzionista incredibili capacità di targeting. Inoltre, grazie a un uso maneggione dei cookie, riesce a tracciare quali pubblicità abbiamo visto da un sito all’altro e come abbiamo reagito ad ogni sponsor, così da evitare di mostrare doppioni ed essere piú efficace.

Dieci anni fa Google già aveva aggregato profili molto approfonditi di ciascuno dei propri utenti — seppur niente di neanche lontanamente paragonabile a quello che hanno ora, grazie a Photos e i servizi di localizzazione dei telefoni Android.

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21 Ottobre: Google mi becca a nastro mentre controllo informazioni per un articolo

Eppure, già dieci anni fa, l’allora AD di Google Sergey Brin si sentiva costretto a tranquillizzare il pubblico: la privacy, anche parlando di inserzionistica era “la loro priorità numero uno.”

Poi, nel 2012, una modifica dei termini di servizio aveva permesso a Google di incrociare i dati di ricerca su Search, Maps e Gmail — creando, seppur anonimi — profili precisissimi di tutti i propri utenti.

Non è difficile disegnare un profilo della mia domenica sera, no?
Non è difficile disegnare un profilo della mia domenica sera, no?

Con l’ultimo aggiornamento, Google potrà aggregare sostanzialmente ogni attività che facciate su internet e dedurne una buona parte di quelle offline, analizzando i pattern d’uso del vostro telefono.

La scelta è una chiara risposta ai servizi di inserzionistica offerti da Facebook e Twitter — o meglio, senza prendersi in giro, da Facebook (qui potete dirgli che non volete) — che collegano ad ogni profilo pubblicitario nome, cognome, faccia e indirizzo della persona da colpire con i propri bellissimi orologi economici.

Spuntate quella spunta per farvi spiare un po' meno
Spuntate quella spunta per farvi spiare un po’ meno!

È inevitabile porsi una domanda: è il momento di mollare Google?

Probabilmente no.

Come vedremo nelle prossime righe, non siamo più nel 2010: esistono dozzine di ottime alternative ai servizi di Google. Molte non offrono niente di più in termini di privacy — non è che usare Dropbox sia tanto meglio che usare Drive — altre invece sono state costruite dalle fondamenta per rispettare meglio l’utente: tutte queste però, sono o peggiori, o laboriose da impostare.

Dove sia il confine oltre il quale non si può tornare indietro sta a ognuno di noi: la vostra privacy vale qualche decina di euro l’anno? Quanto siete dipendenti dall’usare questi servizi con altre persone?

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Google Search


L’unica alternativa degna di nota che rispetti la privacy dei propri utenti è Duck Duck Go, un motore di ricerca espressamente dedicato all’anonimato. Per questo, i suoi risultati non sono in nessun modo personalizzati in base ai vostri interessi: questo può essere bellissimo — finalmente rivedete il vero internet! — o terribile, spostando il risultato che cercate, e che Google quasi certamente avrebbe messo tra i primissimi risultati, in seconda o anche in terza pagina.

Tra questi servizi, tuttavia, DuckDuckGo è il più facile da provare: vi basta cambiare motore di ricerca nel vostro browser (se usate Safari è già tra i predefiniti, dovete solo selezionarlo). È gratuito e alla fine dei conti funziona bene.

Gmail


Fare a meno di Gmail è difficile: dalle banalissime Label a servizi più avanzati come Google Inbox, se fate uso delle funzionalità più specifiche di Gmail per lavoro, o tutti i giorni, rassegnatevi. Non ci sono alternative.

Se usate la posta in maniera meno da pazzi (bravi!), qualsiasi provider va bene, e potreste anche farvene una in casa con un vostro host.

Un’opzione gratuita molto bella, facile da usare, privata e che fino a qualche settimana fa vi avremmo consigliato senza pensarci due volte è Tutanota. Fino a qualche settimana fa, perché le recenti nuove leggi varate in termini di poteri dell’intelligence ci fanno un po’ tremare le vene nei polsi ad avere la mail in Germania. Ma le mail di Tutanova sono criptate, per cui, quantomeno, se qualche spione teutonico vorrà leggerle, dovrà rimboccarsi le maniche.

(Usare servizi popolari come Yahoo e Outlook è esattamente come usare Gmail, e spesso è peggio)

Google Maps


L’unica vera alternativa che non vi spii fino alla marca delle mutande è OpenStreetMap, il cui complimento migliore che si possa fare è che funziona: non è un’impresa da poco, considerata la complessità del prodotto. Scordatevi però di usarlo come GPS, e il database di luoghi d’interesse, quelli che potete cercare senza saperne l’indirizzo, è mostruosamente più piccolo rispetto a quello di Google.

Ad esempio: quando gli ho chiesto di darmi le indicazioni per Santeria – dove attracchiamo in redazione —, mi ha mandato in quella sbagliata.


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Se avete un iPhone, un iPad o un Mac, avete accesso ad Apple Maps, che negli ultimi due anni ha fatto passi da gigante, e solo ogni tanto vi manderà su uno sterrato in mezzo ai cinghiali invece che in autostrada, e no, non vi farà (più) buttar giù da un ponte.

Google Drive


Se non siete già abbastanza tristi, questo è per molti il colpo di grazia: negli anni l’integrazione tra Google Docs, Drive, e Photos ha creato un prodotto che, pur progredendo lentamente, offre un servizio per molti insostituibile. A The Submarine lavoreremmo molto peggio senza le funzionalità di collaborazione di Google Docs, che usiamo religiosamente.

Google Photos è, senza paragoni, il miglior servizio dove conservare le proprie foto, con un’intera sezione dedicata alle tante offerte che l’Intelligenza Artificiale di Google può offrire analizzandole tutte.

Apple offre una suite molto competitiva con iCloud — che può usare chiunque, gratuitamente, criptata e sicura, a differenza delle offerte Microsoft — ma tutte le web app sono sensibilmente più lente delle controparti di Google, e spesso hanno malfunzionamenti o interruzioni di servizio praticamente inspiegabili.

Se volete essere davvero tranquilli, dovete usare Owncloud — un ottimo servizio costruito con la privacy come unica priorità, che richiede però di essere installato manualmente su un server e che comunque offre un’esperienza arretrata di cinque o sei anni rispetto alle attuali offerte spione.


Tutti i servizi che vi abbiamo linkato sono funzionali e funzionanti, ma presentano difficoltà, difetti, stranezze per cui è davvero difficile consigliarli a un utente che non abbia interesse o stringente necessità di privacy assoluta. Decidere di difendere la propria privacy è una piccola scelta di stile di vita, un po’ come una dieta particolare, o andare a fare la spesa non nel posto più vicino a casa. Bisogna accettare compromessi che per una persona meno preoccupata sembrano privi di senso.

Ci sono alcune scelte più piccole, però, che possono radicalmente migliorare la propria privacy: potete provare a convincere i vostri cari ad usare Signal, un’ottima app di chat la cui crittografia è a prova di bomba, e potete installare uBlock Origin e Ghostery sul vostro browser per bloccare quasi la totalità degli script di tracking di Google e Facebook.

Se usate un iPhone, potete usare ad blocker anche sul vostro telefono — la scelta migliore a detta di tutti è 1Blocker.

Oppure, potete non fare niente. Non vi accorgerete mai della differenza, per ora.


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Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.