Netanyahu non ha preso la notizia particolarmente bene: secondo il Primo ministro uscente il governo della coalizione formata da Bennett e Lapid sarebbe una minaccia alla sicurezza di Israele. In realtà, le accuse di Netanyahu sono rimaste vaghe — anche perché Bennett è stato per molto tempo un suo stretto alleato, e alle elezioni non si è presentato con un progetto drasticamente diverso dal suo — chiedendosi come, con un governo “di sinistra” secondo lui “guarderemo negli occhi i nostri nemici.” È una situazione che descrive perfettamente la situazione della politica israeliana: due leader, Bennett e Netanyahu, che hanno lavorato insieme per anni, che hanno programmi simili, e che giustificano le proprie azioni dicendo che l’altro distruggerebbe il paese. La verità, al contrario, è più semplice, spiega Aluf Benn su Haaretz: Bennett non è un trascinatore di folle come Netanyahu, ma la personalità ingombrante del Primo ministro ha reso impossibile per gli altri partiti politici lavorare con lui, isolandolo anche a destra.
Ma quindi che governo potrebbero formare Lapid e Bennett? Al contrario di quello che dice Netanyahu, secondo i retroscena che stanno circolando sulla stampa israeliana, sarebbe senza ombra di dubbio un governo di destra: non si sa ancora se il gabinetto di sicurezza sarà composto da 10 o 12 membri, ma in ogni caso ci sarà una forte maggioranza di destra, con solo quattro o cinque membri appartenenti alle forze centriste. (Il gabinetto di sicurezza è un’istituzione del governo israeliano, una sorta di gabinetto “interno,” a cui può prendere parte al massimo la metà dei ministri del governo.) L’accordo dovrebbe prevedere di nuovo una premiership a rotazione, con Bennett Primo ministro fino al settembre 2023, per poi passare il titolo a Lapid. Se i nomi fossero confermati, si tratterebbe comunque di un Consiglio dei ministri più variegato dei precedenti che hanno governato il paese — 26 ministri, di cui un terzo donne, un terzo ebrei sefarditi. Ci sarebbe anche un (1) ministro arabo, Issawi Frej, alla Cooperazione regionale, e una di origini etiopi, Pnina Tamano-Shata, confermata al dicastero dell’“Assimilazione” dei migranti.
Siamo di fronte quindi alla fine dell’era Netanyahu? Il Primo ministro ha dettato legge nella politica israeliana per 12 anni, ed è attualmente indagato per corruzione in tre casi — e potrebbe perdere la propria poltrona proprio grazie alla svolta di Bennett, che aveva passato tutta la campagna elettorale a promettere che non avrebbe permesso a Lapid di formare un governo. Tuttavia, non avere più Netanyahu Primo ministro non chiude la sua influenza sul paese: i suoi sostenitori più agguerriti — quelli che sta stampa israeliana a volte chiama Bibi-isti — sono un gruppo numerosissimo, e ormai profondamente distaccato dal resto della politica israeliana. Netanyahu, lavorando prima per screditare tutta la sinistra, e poi progressivamente anche ampi settori della destra, ha creato una base elettorale radicalizzata e fedele solo a lui. Non lascerà il potere così facilmente, e potrebbero vedersi in Israele disordini non dissimili da quelli che si sono visti negli Stati Uniti dopo la sconfitta di Trump. E all’opposizione, grazie al grande consenso che gli è rimasto, Netanyahu resterebbe comunque una potenza enorme, con cui il governo sarà costretto a fare i conti.