generale

Curcio, Gabrielli e ora Figliuolo: Mario Draghi ha definitivamente preso in mano la gestione della pandemia — una mossa azzardata, che dovrà essere giustificata da un forte cambio di politiche

Il basso profilo tenuto da Domenico Arcuri nelle ultime settimane non è servito a conservargli il posto: ieri l’ad di Invitalia è stato convocato a Palazzo Chigi per essere congedato dal ruolo di commissario straordinario all’emergenza coronavirus e, al suo posto, è stato nominato il generale Francesco Paolo Figliuolo, comandante logistico dell’esercito, che ora dovrà mettere a disposizione la propria esperienza organizzativa per migliorare l’efficienza della campagna vaccinale. Oltre ad essere stato a lungo nei Balcani nello scorso decennio, nell’ambito dell’operazione Nato in Kosovo, Figliuolo si è già occupato di pandemia, partecipando all’organizzazione del rientro da Wuhan dei cittadini italiani nei primi mesi di emergenza e dei test drive-through organizzati per il personale della Difesa.

Dopo la nomina di Curcio alla Protezione civile e di Gabrielli come sottosegretario con delega ai servizi segreti, Draghi ha completato di fatto l’azzeramento dei vertici che hanno gestito l’emergenza sotto il governo Conte II, indicando la volontà di un cambio di strategia ma anche un accentramento decisionale. È significativo, da questo punto di vista, che la scelta sia caduta su un generale, anziché su un civile: come sarebbe stato normale, dato che non c’è nessuna emergenza militare in corso e c’è già una struttura non militare deputata a gestire le emergenze, ovvero la Protezione civile — che appunto si chiama “civile,” e non “militare.” Questa militarizzazione della pandemia piace soprattutto alla destra, che ha salutato con gioia il siluramento di Arcuri (chiesto a gran voce nei giorni scorsi da Salvini) e, in prospettiva, può essere vista come parte di una certa retorica nostalgica per l’esercito, che passa dal nuovo reality “La caserma,” attualmente in onda, o dalle proposte di Salvini di reintrodurre la leva militare obbligatoria.

A Figliuolo è stato assegnato un compito molto difficile: la principale criticità della campagna vaccinale è legata al disastro dell’approvvigionamento europeo — ma anche sul lato strettamente italiano, Arcuri lascia una situazione per nulla rosea. All’ex commissario mancavano solo due settimane per concludere il suo primo anno nella gestione della pandemia, che è stato costellato più da insuccessi che da successi: a partire dall’ultima controversia sulle commesse gonfiate delle mascherine cinesi nelle prime settimane del suo mandato, che non l’ha visto indagato ma ne ha rovinato definitivamente l’immagine, al clamoroso flop dell’app Immuni, sulla quale aveva deciso di puntare come “pilastro” del controllo dei contagi. O alla bocciatura da parte di Draghi delle strutture a forma di primula per le vaccinazioni, con il nuovo premier orientato a utilizzare strutture già esistenti piuttosto che a costruirne di nuove e floreali.

La guerra del centrodestra contro Arcuri è iniziata il giorno della sua nomina — all’epoca il centrodestra aveva proposto di riciclare per la posizione Guido Bertolaso — ma la sua carriera e profilo bipartisan l’avevano inizialmente protetto dagli attacchi più duri. Con il passare dei mesi — e con l’ulteriore espansione delle sue responsabilità — però, Arcuri è diventato un vero e proprio capro espiatorio, con cui giustificare anche crisi politiche che hanno portato alla caduta di un governo. L’idea di militarizzare almeno la campagna vaccinale era stata avanzata già da Matteo Renzi nei mesi scorsi, che infatti ieri cantava vittoria

Dopo una partenza buona rispetto agli altri paesi europei, la campagna vaccinale ha rallentato, a causa di vari fattori tra cui la frammentarietà e il grande affidamento alle strutture sanitarie regionali: nonostante Arcuri avesse lasciato intendere che la campagna avrebbe visto un ruolo maggiore del governo centrale rispetto allo strapotere delle regioni, il governo si è di fatto limitato alla consegna alle regioni delle dosi previste e a dare delle “linee guida.” Ogni regione, poi, ha scelto e sta scegliendo come vaccinare e a chi dare la priorità, con più o meno efficienza. È emblematico come al solito il caso della Lombardia, la penultima regione italiana per vaccinati rispetto alla popolazione— l’ultima è la Sardegna, che però è in zona bianca. Nonostante ciò, l’assessora lombarda al Welfare Letizia Moratti ha deciso per qualche motivo di far partire le vaccinazioni per il personale universitario, nonostante le università siano chiuse e gli insegnanti di scuole elementari e medie, ad esempio, siano molto più a rischio.

La campagna vaccinale che il nuovo commissario dovrà gestire è resa ancora più difficile dal fatto che la pandemia sembra essere in piena ripresa. Ieri, proprio in Lombardia, è stato annunciato che la provincia di Brescia resterà in zona arancione “rafforzata” per altri 8 giorni — una misura che prevede, di fatto, restrizioni simili a quella arancione semplice, ma con la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado; anche la provincia di Como, diversi comuni della provincia di Mantova e dieci comuni della città metropolitana di Milano rientrano nella stessa fascia di rischio. I governatori delle regioni stanno premendo perché le scuole vengano chiuse ovunque già in zona arancione e al tempo stesso perché venga assegnata una data certa per la riapertura serale dei ristoranti. Draghi avrebbe risposto di no, ma probabilmente sarà accolto il suggerimento del Cts e le scuole di ogni ordine e grado saranno chiuse almeno in zona rossa. Tra oggi e domani, il presidente del Consiglio dovrebbe firmare il nuovo Dpcm. 

Fuori dalla Lombardia, la situazione è critica soprattutto nell’area di Bologna, dove il sindaco Merola ha chiesto la zona rossa, ma anche in Piemonte, dove in zona rossa ci sono otto comuni. Nel Lazio preoccupa soprattutto la provincia di Frosinone, in zona arancione, mentre tre zone rosse si trovano anche nella “bianca” Sardegna (qui l’elenco provvisorio regione per regione). Ieri Speranza ha detto senza mezzi termini che le prossime settimane “non saranno facili.” (la Repubblica Bologna / Fanpage / Adnkronos)

A livello nazionale i nuovi casi registrati ieri sono stati 13.114, a fronte di circa 170 mila test, con un aumento del 60% rispetto alla media delle ultime quattro settimane. Preoccupa il tasso di positività, in crescita al 7,6% (calcolando anche i tamponi antigenici) e l’aumento dei ricoveri ordinari (+474) e in terapia intensiva (+58, con 171 ingressi). I decessi sono stati 246.