cover-zoom-nirvana

Passare la maggior parte del tempo a guardare se stessi invece che gli altri durante le videochat di gruppo, a quanto pare, è un vizio molto diffuso.

A diciassette anni, forse sedici, ho letto per la prima volta Messaggio per un’aquila che si crede un pollo. È un libro di Anthony De Mello, un gesuita di Mumbai morto nel 1987, che univa, quasi come uno stereotipo, il cristianesimo cattolico con l’apparato filosofico e mistico della tradizione indiana. Tra le altre cose, nel libro De Mello parla del concetto di “auto-osservazione del Me”: non un’idea particolarmente originale nel panorama della filosofia mondiale, ma che all’epoca mi ha lasciato piuttosto sconvolto. 

Secondo De Mello, esiste un Io ed esiste un Me. Se osservi te stesso a distanza — con te stesso si intende proprio tutto te stesso, con pensieri, preoccupazioni, attributi di ogni genere — la parte di te che osserva è l’Io, quella che è osservata è il Me. Tra tutti gli esseri viventi solo l’uomo, sostiene De Mello, possiede questa capacità. Quando ho capito come farlo e sono riuscito a identificarmi tutto con l’Io e osservare il Me, sono stato colto da quella che posso definire una crisi mistica. Ho provato una sensazione di gioia e soddisfazione piena, senza pari e distaccata. È una sensazione simile a quella che si prova facendo meditazione o training autogeno, paragonabile forse a un ASMR molto potente.

Nel libro, De Mello fa notare che bisognerebbe sempre osservare se stessi in questo modo mentre si parla con qualcun altro, per riuscire ad ascoltare bene l’interlocutore e non dire stupidaggini. Quando ho iniziato a sentire i miei amici, colleghi e parenti su Zoom o House Party a causa della quarantena, mi sono accorto che passavo più tempo a fissare la mia immagine che le facce degli altri partecipanti alla conversazione. Ho pensato fosse un problema legato a una forma di insicurezza o narcisismo, ma ho potuto notare che quantomeno non sono l’unico: sembra essere un vizio abbastanza diffuso.

Durante le chiamate di gruppo, se fate attenzione agli altri — appunto — potrete osservare che molti vostri interlocutori si sistemano i capelli, fanno una faccia che sperano essere bella, si mettono con una certa inclinazione in favore della luce o della telecamera. È comprensibile, credo. Come si fa a resistere alla tentazione di guardarsi allo specchio? Quando parliamo con le persone dal vivo, dobbiamo accontentarci che il nostro specchio siano gli altri; qui, no. 

Forse anche per questo molte persone non si sottopongono volentieri a questi riti collettivi, nonostante anche negli ultimi mesi e anni prima della quarantena le riunioni e gli incontri su queste piattaforme stessero già diventando sempre più diffusi. In una chat di gruppo su Zoom si è costretti dalle circostanze ad auto-osservarsi, come suggeriva De Mello, ma non si raggiunge nessuna illuminazione — almeno, io finora non ci sono riuscito. È una maledizione direttamente connaturata ai dispositivi che utilizziamo, con cui non è possibile guardare davvero negli occhi qualcuno. 

È probabile che, in sostanza, in videochat ci si trovi a disagio perché ci si sente brutti, e non è un caso. Esiste una ricca letteratura scientifica sulle reazioni negative alla propria immagine in video, anche prima che diventasse l’unico modo a nostra disposizione per avere a che fare con le persone che conosciamo. Negli anni Settanta, ad esempio, uno studio dell’università di Milwaukee ha rivelato che la nostra immagine ripresa non ci piace. Siamo più familiari a percepire la nostra immagine quando è riflessa, e se ci capita di vederci in video ci sentiamo estranei a noi stessi. Questa condizione è agognata da alcune dottrine filosofiche orientali, dalle quali forse ha attinto De Mello, ma può molto facilmente causare disagio per una lunga serie di ragioni evolutive e biologiche.

Inoltre, il nostro cervello ha la tendenza a trovare conferme alle proprie convinzioni già radicate. Se dunque ci sentiamo non belli o per qualsiasi motivo inadeguati a una situazione, osservando la nostra faccia sullo schermo vedremo il viso di qualcuno che ci sembra non bello o inadeguato, come chiunque abbia avuto 17 anni può confermare. E non è facile sentirsi a proprio agio durante una diretta webcam di lavoro che dura ore, magari con il proprio capo o padrone che incombe. 

Il problema dunque è diffuso, e alcune app di videochat hanno cercato di ovviare con qualche stratagemma: GoToMeeting e Zoom, ad esempio, consentono di sostare in una “anticamera” video con la propria immagine prima di entrare nella chat con gli altri, in modo da potersi sistemare e raccogliere le forze se se ne ha bisogno. Del resto può sempre capitare che ci sia qualche buontempone che fa screenshot alle call senza dire niente, un gesto che può mettere a disagio se viene fatto senza rispettare una certa etichetta.

È bene abituarsi però, dato che le videochat sembrano propense a restare con noi almeno un altro po’. Se proprio riuscite a trovarvi a vostro agio osservando la vostra immagine in video, è utile ricordare che — per chi può farlo — è ok non avere voglia di mettersi davanti ad una webcam. Se non vi va di balzare, se siete persone più spiritose o molto passivo-aggressive, potete invece usare qualche tool che sostituisce alla vostra faccia quella di una persona famosa, o semplicemente fare con piacere liberatorio la cosa più semplice: disattivare la vostra immagine dal vostro schermo.

Pochi di noi hanno la preparazione filosofica o l’inclinazione mistica per cogliere, come potrebbe fare un monaco gesuita di Mumbai, gli aspetti positivi di osservare un gruppo di persone su uno schermo tra cui c’è anche qualcuno che ha la nostra faccia. Se da un lato l’osservazione del sé può dare spunti interessanti, infatti, esistono anche fenomeni come lo spectatoring, una forma di ansia che potrebbe essere definita un’astrazione dal proprio corpo durante le interazioni e i rapporti intimi. Lo spectatoring colpisce soprattutto le donne, a causa della continua oggettivizzazione e valutazione del proprio aspetto a cui sono sottoposte dalle società patriarcali.

Se però volete approfondire l’auto-osservazione del sé, per interesse o per noia, potete andare a spulciare qualsiasi manuale di meditazione o che tratti il pensiero buddhista. Il concetto, infatti, è nodale in tutta la filosofia buddhista da ben prima che De Mello decidesse di riproporla attraverso un saggio dal titolo buffo. Meditare e separarsi dal sé è una chiave per arrivare al nirvana, e l’osservazione del sé è un modo per andare nella giusta direzione. Questa strada è indubbiamente più lunga, ma ci si può fare coraggio ricordando che la meditazione può essere un rimedio valido per l’ansia e gli attacchi di panico — e che non c’è bisogno di calarsi a pie’ pari in bizzarrie new age per apprezzarne i benefici.

Segui Stefano su Twitter