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Benvenuti in un nuovo episodio di Arabeschi

Nell’articolo di oggi parleremo di un concetto che spesso ricorre nei dibattiti interni al mondo islamico, proprio perché si tratta di un termine che designa una separazione all’interno della comunità dei credenti, ma proprio per questo motivo, svolge un ruolo importante nella comprensione della complessità del mondo islamico. Il termine in questione è, appunto, Shi’a (شيعة), ovvero lo Sciismo.

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Per spiegare la nascita di questa corrente, all’interno dell’Islam, è necessario partire dall’avvenimento della morte del Profeta, unico leader politico della comunità musulmana ma, soprattutto unico depositario della rivelazione e uomo dal forte carisma. Per poter garantire un governo alla comunità musulmana, si pose subito il problema della successione del Profeta e questo processo condusse allo scisma tra Sunnismo e Sciismo.

Il dibattito, in origine, si divideva tra coloro che ritenevano che il nuovo leader andasse ricercato tra quelli che avevano condiviso col Profeta l’esperienza fondativa dell’Islam, perciò, tra coloro che lo seguirono durante la hijra الهجرة, ovvero la migrazione verso Medina (i cosiddetti muhājirūn – مهاجرون); quelli che ricercavano il successore del Profeta in un più ampio raggio di compagni che comprende anche gli أنصارansar ossia i convertiti all’Islam di Medina; ed infine, quelli che consideravano di ricercare un degno successore solo per linea diretta di sangue, dunque tra i parenti del Profeta stesso.

In prima istanza, la soluzione a questo dibattito fu raggiunta grazie ad un compromesso: Abū Bakr fu il primo dei 4 califfi ben guidati (al-rashidūn الرشدون) che ottennero la guida dell’Impero Islamico alla morte del Profeta; si trattava di uno dei primi seguaci di Muhammad e godeva di legami sia tribali che parentali con quest’ultimo, in quanto, appartenente alla stessa tribù del Profeta (la tribù dei Quraysh) e padre di Aisha, una delle mogli di Muhammad stesso, inoltre, rappresentava una figura autorevole, proprio per la sua lunga e fedele amicizia con il Profeta. A questi, susseguì Umar, anch’egli membro della tribù Omayyade dei Quraysh e genero del Profeta. Poi fu la volta di ‘Uthman. Umar aveva istituito un consiglio di muhājirūn, che avevano il compito di scegliere il terzo califfo ben guidato. La scelta fatta da questo consiglio, lasciò nuovamente in disparte gli ansar che avrebbero invece preferito Ali, cugino e genero del Profeta, anche perché più affini alla sua posizione per aspirazioni ideologiche: Ali puntava all’esaltazione del messaggio divino e del valore dell’esempio del Profeta. ‘Uthman, invece, si proponeva come prosecutore della condotta più realistica dei suoi due predecessori. Nonostante la scelta del consiglio la rivalità tra questi due rappresentanti crebbe tanto da portare all’assassinio di ‘Uthman, che fu succeduto da Ali e poi assassinato, a sua volta, da un membro dei kharigiti, i quali inizialmente lo sostenevano ma non accettarono il fatto che Ali acconsentì ad una mediazione con Mu’awiyah (leader della fazione Omayyade) durante la battaglia di Siffin tra le due fazioni; secondo loro, infatti, Ali avrebbe dovuto reprimere nel sangue qualsiasi tipo di ribellione contro la sua autorità.

Il primogenito di Ali, Hasan, rinuncerà al Califfato a favore di Mu’awiyah. L’opposizione tra le due fazioni non si ridurrà e giungerà al suo culmine nel 680 quando gli Omayyadi daranno inizio ad una seconda linea dinastica che porterà al Califfato Yazid, figlio di Mu’awiyah, al quale gli alidi (o sostenitori di Ali) contrapporranno Husayn, il secondo figlio di Ali. Nella battaglia di Kerbala del 10 ottobre 680, Husayn viene ucciso insieme ai suoi seguaci perché rifiuta di sottomettersi al califfato Omayyade. All’interno della battaglia, l’unico a salvarsi sarà suo figlio Ali ibn al-Husayn, il quale tornando a Medina riuscirà a mantenere la tradizione alide, seppur con grandi difficoltà, grazie ad un ristretto gruppo di discepoli.

Lo scopo della componente sciita è quello di mantenere viva, seppur in modo minoritario, un particolare tipo di credenza, che li distanzi dai sunniti non solo nelle modalità di successione, ma anche attraverso la costruzione di una teologia ed un modello sociale particolari. Il principale tratto di differenziazione sta nell’attribuire un diverso valore alla leadership della comunità.

Nel Sunnismo si punta ad un carisma di funzione che ricade nella figura del Califfo, il quale però, non svolge in sé una funzione religiosa ma, piuttosto, temporale, con il solo scopo di difendere la religione, mentre nello Sciismo, ad essere esaltato è il ruolo spirituale dell’Imam. Infatti, mentre per i primi, l’Imam svolge il ruolo di guida religiosa, per gli sciiti esercita un ruolo di guida sia politica che religiosa, rappresentando il delegato del Profeta, nel suo ruolo temporale. L’Imam sciita, è investito da Dio nella sua funzione e svolge un ruolo di mediatore tra il mondo visibile con quello invisibile. Egli, grazie alla sua prossimità con Dio, peculiarità garantita a Ali e ai suoi discendenti, ha una maggiore capacità in ambito di relazioni con il divino rispetto al resto della comunità. Secondo gli sciiti, infatti, l’Imam è investito da Dio delle stesse qualità del Profeta, escludendo solo la rivelazione. Il proprio carisma si tramanda attraverso l’atto del nass, che è lo stesso di quando un padre sceglie un figlio tra quelli destinati a sostituirlo.