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La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina continua, e gli altri stati devono decidere da che parte stare. Tra le altre notizie: le commemorazioni fasciste a Dongo e a Predappio, un bombardamento statunitense su un carcere di migranti africani, e Meta AI ha un problema con il sexting

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foto dominio pubblico, Dan Scavino

Come va la trattativa tra Cina e Stati Uniti per mettere fine — o per lo meno normalizzare — la guerra commerciale? Non lo sanno bene nemmeno i funzionari statunitensi: giovedì Trump aveva detto che Washington e Pechino si stavano parlando per arrivare a un accordo per ridurre “sostanzialmente” i dazi, ma la sua versione dei fatti era stata screditata dal portavoce del ministero del Commercio He Yadong, che aveva dichiarato che non era in corso nessuna trattativa. Domenica anche il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent, parlando con This Week, su ABC, ha detto la stessa cosa. Bessent ha dichiarato di aver parlato con i propri colleghi cinesi, ma solo per “cose tradizionali”: “Stabilità finanziaria, i primi segnali sull’economia globale” — immaginiamo, dei dazi — ma che non si era aperta una vera e propria trattativa con Pechino. Bessent ha aggiunto che “non sa” se Trump ne ha parlato direttamente con Xi, ma ha aggiunto: “So che hanno una relazione molto buona e si rispettano molto.” Bessent si è rifiutato di dare qualsiasi tempistica alla trattativa con la Cina — la settimana scorsa aveva anticipato che sarebbe stata “faticosa,” e che si sarebbe protratta a lungo. D’altronde se la settimana scorsa Trump era sembrato più possibilista, ieri scriveva su Truth Social che grazie ai dazi si sarebbero “ridotte sostanzialmente, se non completamente eliminate” le imposte sul reddito delle persone che guadagnano meno di 200 mila dollari l’anno. Secondo Trump i dazi stanno anche già “altissimi numeri di posti di lavoro,” e che in generale ci sarà “una BONANZA” (maiuscolo suo) per l’America. (the Guardian / ABC News / Reuters / Truth Social)