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La nave pattugliatore Libra della marina militare è partita da Lampedusa con a bordo i primi 16 migranti che saranno “processati” nelle strutture volute da Giorgia Meloni e Edi Rama a Shengjin e Gjader, in Albania. Si tratta tutte di persone bengalesi ed egiziane, intercettate la notte di lunedì mentre cercavano di raggiungere l’Italia. La loro nazionalità di provenienza è importante: sono diretti nella struttura del porto di Shengjin, dove si svolgerà la procedura accelerata per stabilire, nel giro di un mese, se hanno diritto (!) a essere trasferiti in Italia, oppure se si dovrà procedere con un’ulteriore deportazione — dopo, ovviamente, il passaggio in CPR, e solo 7 giorni per poter fare ricorso, nella nuova procedura abbreviata dal nuovo decreto flussi. La scelta di far partire il meccanismo con questi 16 non sembra essere casuale: sia Bangladesh che Egitto sono considerati paesi “sicuri,” per cui le autorità potrebbero decidere rapidamente che non hanno diritto d’asilo. Terminata la detenzione nel sito di Shengjin, si viene spostati nel sito di Gjader, composto da un centro di accoglienza da 880 posti, un CPR da 144 e un carcere (!!) di 20 posti. Tutta la struttura è perimetrata da muri e recinzioni, e i prigionieri sono monitorati con l’uso di telecamere.

Nella volontà del governo l’intero processo per arrivare poi alle deportazioni nei paesi d’origine dovrebbe durare 4 settimane. Ma come dimostrano i tempi delle procedure nei CPR italiani — lunghissimi, riconosciuti e messi a norma dallo stesso governo Meloni, che ha portato il tempo di permanenza massimo da 3 a 18 mesi — i due siti albanesi allo stesso modo diventeranno inevitabilmente lager dove persone che non hanno compiuto nessun crimine restano in detenzione per un periodo arbitrario di tempo — “infernali centri di detenzione,” nelle parole di Nicola Fratoianni, mentre invece +Europa li descrive come “colonie detentive.” Elly Schlein ha dichiarato che il governo “butta 800 milioni degli italiani in un accordo di deportazione di migranti in Albania, in violazione dei diritti fondamentali, in spregio a una sentenza della Corte di giustizia europea che fa già scricchiolare l’intero impianto di quell’accordo.” Il riferimento è una sentenza del 4 ottobre, con cui i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che alcuni dei paesi definiti “sicuri” dalla Farnesina in realtà non lo sarebbero. Perché un paese debba essere sicuro, nessuno deve rischiare persecuzioni, tortura o “altri trattamenti inumani” — un criterio che non è garantito in nessuno dei 3 stati da cui arrivano la maggior parte delle persone migranti: Tunisia, Egitto e Bangladesh.

Parlando da un universo parallelo, il presidente della Repubblica Mattarella ha dichiarato che “l’impegno per la coesione sociale, l’accoglienza, il progresso, l’integrazione, il divenire della cittadinanza, è attività permanente.” Parlando con i volontari dell’associazione Franco Verga, Mattarella ha emesso l’ennesimo monito che serve soprattutto a fargli dormire sonni tranquilli, ricordando come “la storia italiana è fatta di emigrazione e di immigrazione.” Don Mapelli, responsabile della Caritas, ha chiesto al presidente: “Bisogna riconoscere la cittadinanza a chi è nato e cresciuto in Italia, non c’è più tempo da aspettare.”


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