foto via X @Europarl_EN
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Il presidente ungherese Viktor Orbán ha presentato le priorità della propria presidenza dell’Ue — iniziata lo scorso primo luglio — in un dibattito a cui ha partecipato anche von der Leyen e che è diventato immediatamente tesissimo. Secondo Orbán, “l’Unione europea deve cambiare,” “e spero oggi di convincervi di questa cosa.” Già il giorno prima, parlando con la stampa, Orbán aveva anticipato che il dibattito europeo sulle migrazioni sarebbe stato un “bagno di sangue” (sic) — durante il proprio intervento ha ripetuto che l’Europa deve concentrarsi sullo stabilire “hotspot esterni,” fuori dai confini europei, senza i quali “non possiamo proteggere gli europei dall’immigrazione illegale.” L’idea, che fino ad un paio di anni fa era da estremisti, è oggi molto popolare tra i paesi membri, nel complessivo slittamento a destra dei governi europei. Tra gli altri argomenti toccati da Orbán c’è stato il Green Deal, che secondo lui non considerava le “politiche industriali” dell’UE, il prezzo dell’energia nel contesto della decisione di non comprare più combustibili fossili dalla Russia, e le “restrizioni commerciali” volute dalle Commissione — un riferimento trasversale ai dazi astronomici imposti sugli EV cinesi. Al Parlamento europeo non ne ha parlato, ma durante la sua conferenza stampa di martedì, Orbán aveva detto espressamente che riteneva che “l’Ucraina non può vincere nel campo di battaglia,” e aveva anticipato che con la (possibile) vittoria di Trump anche gli stati europei avrebbero dovuto rivedere la propria strategia sul conflitto.
Il discorso è stato ovviamente accolto con entusiasmo dai colleghi di destra di Orbán. L’europarlamentare leghista Borchia l’ha descritto come un “discorso molto concreto,” “concentrato sulle urgenze della presidenza,” mentre Jorge Buxadé Villalba, di Vox, ha parlato di una “boccata d’aria fresca.” Non tutti, a destra, sono d’accordo con Orbán. Nicola Procaccini, di FdI, co–presidente del Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei, ha dichiarato che con Orbán “condividiamo un avversario interno” (!) “che è la furia progressista che vuole cancellare la cultura occidentale e con quella le ragioni della nostra unità.” “Ma abbiamo anche un nemico esterno molto più pericoloso,” che Orbán “sembra ignorare,” “l’alleanza tra Cina, Russia, Iran e Corea del Nord: il cosiddetto quartetto del caos, che è l’antitesi di qualsiasi patriota occidentale, europeo, ungherese.” Più o meno sulla stessa linea la presidente von der Leyen, che nel proprio discorso ha attaccato aspramente Orbán, ma fondamentalmente solo per i rapporti dell’Ungheria con la Cina e la Russia. Guardando Orbán, von der Leyen ha ricordato: “C’è ancora chi considera responsabile di questa guerra l’invaso e non l’invasore. Non la brama di potere di Putin, ma la sete di libertà dell’Ucraina.” “Vorrei chiedergli,” ha continuato von der Leyen, “se avrebbe incolpato gli ungheresi per l’invasione sovietica del 1956? O i cechi e gli slovacchi per la repressione sovietica del 1968? O i lituani per la stretta sovietica del 1991?” Sulle migrazioni, invece, von der Leyen è sostanzialmente in accordo con Orbán: “Vogliamo tutti proteggere meglio i nostri confini esterni,” ha dichiarato la presidente della Commissione, accusando il Primo ministro ungherese di far entrare nel paese persone di “nazionalità russa“ “senza controlli di sicurezza.” Von der Leyen ha aggiunto che serve “rinforzare Frontex e l’Europol.”
Diversi eurodeputati progressisti hanno contestato Orbán, molti su Cina e Russia, come i loro colleghi di destra, alcuni anche andandosene quando era il suo turno di parlare. Tra loro, anche l’eurodeputata Ilaria Salis, che è arrivata Strasburgo grazie a un grande supporto antifascista dall’Italia — liberata dalle carceri ungheresi, dove era detenuta in condizioni non umane da più di un anno. Salis non ha usato mezzi termini: “L’Europa unita è nata sulle ceneri della sconfitta del nazifascismo come progetto di cooperazione internazionale. È un amaro paradosso che oggi sia guidata da chi vuole smantellarla nel nome del nazionalismo. Sotto Viktor Orbán l’Ungheria è diventata un regime illiberale e oligarchico, uno Stato etnico autoritario, secondo alcuni addirittura una tirannia moderna.” Per Salis il modello di governo di Orbán è “una nuova pericolosa forma di fascismo, la variante autoritaria del capitalismo globale odierno.”