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Donald Trump e Kamala Harris si sono confrontati in un altro dibattito, il loro primo, in vista delle elezioni presidenziali di novembre. È presto per misurare eventuali effetti sull’elettorato — anche se secondo un sondaggio istantaneo di CNN il 63% degli spettatori ha riconosciuto la vittoria di Harris — ma i democratici hanno incassato il ribaltamento di ruoli che speravano di vedere cambiando candidato. Se il primo dibattito era stato interamente guidato da Trump, con Biden che faticosamente seguiva l’ex presidente, questa volta la discussione è stata condotta senza fatica da Harris, che in più occasioni ha gettato esche per confondere e dirottare Trump. Ad esempio, alla domanda sull’immigrazione, un punto di debolezza di Harris sia nei confronti dell’elettorato conservatore che di quello progressista, la vicepresidente ha lanciato un non sequitur sul fatto che il pubblico spesso se ne va via annoiato dalle manifestazioni di Trump — che è famoso per tenere discorsi interminabili e spesso difficili da seguire. Harris ha commentato “vi invito ad andare a una delle manifestazioni di Donald Trump, perché è una cosa molto interessante da guardare.” Quando è venuto il turno di Trump, invece di attaccare la vicepresidente, si è ovviamente messo a difendere la propria performance come uomo dello spettacolo. (Se volete vedere tutto il dibattito, potete recuperarlo su C–SPAN)
Il vantaggio più marcato, e la differenza politica più netta, tra Biden e Harris è che la vicepresidente ha potuto difendere la libertà all’aborto in modo convinto, mettendo di nuovo in difficoltà Trump. Biden — un cattolico 81enne che è stato contrario all’aborto per gran parte della propria carriera politica — non era mai riuscito a mettere all’angolo Trump sull’argomento. L’ex presidente ha vacillato senza riuscire a dire quali siano le sue intenzioni, e se voglia provare a istituire una messa al bando federale all’IVG. Trump è tornato a ripetere che i democratici vorrebbero “assassinare i neonati” dopo il nono mese — affermazione per cui Trump è stato bacchettato dai moderatori, che questa volta, a differenza del primo dibattito, facevano fact checking. Molte voci repubblicane si sono lamentate del fact checking, sostenendo che fossero parziali — il senatore Lindsey Graham ha dichiarato che “potevano anche essere pagati dai democratici.” La paura del fact checking non ha però impedito a Trump di portare al dibattito la fake news dei migranti che mangiano i gatti in Ohio.
Nell’ambito della politica estera, Trump è tornato a sostenere che riuscirebbe a far finire la guerra in Ucraina — “quello che farò è che parlerò a uno e parlerò all’altro,” e poi “li farò incontrare.” La differenza, secondo l’ex presidente, è che Zelenskyj e Putin “rispettano me, non rispettano Biden.” In un momento involontariamente comico, Trump si è complimentato con Orbán dicendo che “lo chiamano dittatore” — in inglese, “strongman,” forse ignorandone il significato o la connotazione negativa, piú forte del nostro “uomo forte.” Sull’aggressione di Gaza, Harris non ha fatto concessioni alla catastrofe umanitaria, ed è tornata a ripetere l’espressione che “sono stati uccisi troppi palestinesi innocenti” — una frase che implica che per la politica statunitense ci sia un numero ragionevole di innocenti uccisi. Trump sostiene che Harris “odia” entrambe le parti, e che “se sarà presidente, credo che Israele non esisterà più nel giro di due anni,” perché “esploderà tutto.”