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foto via X @JoeBiden

Con una decisione attesa da settimane ma comunque repentina, Joe Biden ha annunciato su X, con una lettera indirizzata ai cittadini statunitensi, che rifiuterà la nomination alla candidatura democratica per le prossime elezioni presidenziali. Dalla sua performance disastrosa al confronto con Trump, sempre più voci nel Partito democratico gli avevano chiesto di fare un passo indietro — mentre i sondaggi mostravano chiaramente che non avesse molte speranze di battere Trump. Non è un segreto che si sia trattata di una decisione sofferta: Biden ha insistito pubblicamente che sarebbe arrivato alla fine della campagna elettorale e avrebbe sconfitto Trump — l’account di Biden su X ha postato messaggi in cui il presidente si diceva sicuro di vincere fino a poche ore prima dell’annuncio, e ancora in settimana parte della leadership democratica stava correndo per anticipare la nomination di Biden, in modo da mettere fine alle tensioni interne al partito. Mezz’ora dopo la pubblicazione della lettera, l’account di Biden ha pubblicato un altro post, in cui si confermava che il presidente sosteneva la nomination della sua vicepresidente, Kamala Harris, alla candidatura democratica.

Si tratta di un terremoto per la campagna elettorale statunitense: Harris ha dichiarato che vuole “meritarsi” la nomination, ma al momento non è chiaro se nomi importanti del Partito oltre a lei intendano candidarsi — in realtà non c’è un percorso automatico nemmeno su come i democratici potrebbero scegliere la candidata o il candidato. Il precedente più recente è del 1968 — quando il partito ha condotto una convention “aperta” dopo il ritiro di Lyndon Johnson — non è un parallelo storico felice per Harris, però: il vicepresidente di Johnson, Hubert Humphrey, fu nominato alla candidatura, e perse nettamente contro Nixon. Sui media italiani da settimane si ripete l’ipotesi che Michelle Obama potrebbe essere la candidata democratica — ma si tratta di una possibilità che media e politica statunitense non considerano nemmeno: non solo non ci sono i presupposti politici per una candidatura di Obama, ma lei non ha mai espresso l’intenzione di partecipare personalmente in politica. I due Obama sono fittamente impegnati nel gestire la propria Fondazione. Elencando le possibili alternative a Harris, Aaron Blake del Washington Post indica Obama come una “opzione fantasy.” Sulla carta il nome più forte dopo Harris è quello della governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, ma ci sono diverse altre possibilità, tra cui il governatore del Pennsylvania Josh Saphiro e il governatore della California Gavin Newsom — entrambi hanno potenziale di rubare elettori a Trump, anche se per Newsom essere californiano sarebbe un problema nella dinamica della campagna elettorale.

Mercoledì il comitato della convention democratica si dovrebbe riunire per discutere come selezionare il proprio candidato. La nomina di Harris non è scontata: Biden si è ritirato dalla corsa, lasciando così libertà di voto ai propri delegati, ma non si è dimesso dalla presidenza: se Biden si fosse dimesso Harris si sarebbe trovata in una posizione molto più forte, a tutti gli effetti la presidente uscente — e la prima presidente donna degli Stati Uniti. Ma con Harris il partito democratico vincerà le elezioni? È comunque difficile: secondo una media dei sondaggi recenti, Harris è in una posizione marginalmente migliore di Biden, ma Trump è comunque in vantaggio.

Ma come può fare una candidata o un candidato democratico a recuperare terreno contro Trump in così poche settimane? La sociologa Eman Abdelhadi sottolinea che i numeri di Biden nei sondaggi sono scesi mentre il presidente continuava a supportare acriticamente l’aggressione di Gaza. C’è qualche speranza che Harris sarebbe più rigida con Tel Aviv rispetto al presidente uscente — ma un retroscena del Times of Israel riporta che Harris “condivide l’impegno ferreo degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele.”


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