Assange è libero, la stampa un po’ meno

Assange ha patteggiato con il dipartimento di Giustizia statunitense, ma per mettere fine alla propria persecuzione ha dovuto ammettere di essere colpevole, creando un precedente potenzialmente pericoloso

Assange è libero, la stampa un po’ meno

foto, pubblico dominio / Julian Assange & Martina Haris

L’account X di WikiLeaks ha annunciato che “Julian Assange è libero” e ha già lasciato la prigione di massima sicurezza britannica dove costretto da 1901 giorni. Il fondatore di WikiLeaks infatti ha raggiunto un accordo di patteggiamento con il dipartimento di Giustizia statunitense, con il quale ammetterà la colpevolezza di aver “cospirato” “colpevolmente e illegalmente” con Chelsea Manning per pubblicare documenti riservati dell’esercito statunitense. Domani Assange apparirà di fronte a una giudice statunitense, Ramona Manglona, del distretto delle Isole Marianne Settentrionali (per la vicinanza all’Australia) e si presume che ammetterà la propria colpevolezza, per poi poter tornare nel suo paese di provenienza. La giudice lo condannerà a 62 mesi di carcere e gli riconoscerà di aver già scontato la totalità della pena nelle carceri britanniche, dove è rimasto un mese in più della condanna patteggiata. Si tratta di un importante risultato per l’amministrazione Biden, ma un risultato di cui il presidente non vuole prendersi i meriti: la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Adrienne Watson ha dichiarato specificamente che si è trattata di una “decisione indipendente del dipartimento di Giustizia” e “non c’è stato nessun coinvolgimento della Casa bianca nella decisione.”

Per Assange si chiude una battaglia lunga 15 anni. Per gli Stati Uniti si chiude un capitolo di crescenti tensioni con l’Australia che ne ha smascherato la vendicatività delle istituzioni, che addirittura avevano pubblicamente discusso della possibilità di rapire o assassinare Assange durante l’amministrazione Trump. La pubblicazione dei cablo del dipartimento di Stato resta una delle fughe di documenti più grandi della storia statunitense — con più di 250 mila documenti trafugati, che restano una fonteimportantissima ancora oggi. Tra questi non si può menzionare ancora una volta il video “Omicidio collaterale,” che svelò un’operazione militare a Baghdad in cui vennero uccisi un gruppo di civili, tra cui due giornalisti di Reuters.

Nonostante nei mesi scorsi ci fossero state ripetute aperture da parte di diversi funzionari statunitensi — compreso Biden — sulla possibilità di arrivare a un accordo, CNN riporta en passant che FBI e dipartimento di Giustizia avevano posto come condizione per arrivare a un accordo che Assange si dichiarasse colpevole, una decisione ovviamente comprensibile per il fondatore di WikiLeaks, ma che potrebbe avere conseguenze problematiche per la libertà della stampa statunitense e globale. La minaccia dell’Espionage Act non solo resta ma si manifesta per i giornalisti di tutto il mondo: Assange, ripetiamo, non è un cittadino statunitense ma australiano, e Washington per anni ha negato che il suo operato fosse di carattere giornalistico, in modo da poter inquadrare il suo lavoro — quello che fanno tutti i giornalisti investigativi che si occupano di sicurezza nazionale — come reato. Il patteggiamento evita il peggio, ovviamente, ma come sottolinea Jameel Jaffer, direttore Knight First Amendment Institute della Columbia University, l’accordo “prevede che Assange sia stato condannato a 5 anni di prigione per attività che i giornalisti svolgono tutti i giorni.”


Sostieni l’informazione indipendente di the Submarine: abbonati a Hello, World! La prima settimana è gratis