“Mettete fine a questo incubo”

La decisione della Corte internazionale di giustizia è legalmente vincolante, ma la Corte non ha potere per farla applicare — Human Rights Watch ha chiesto che gli stati usino “la loro influenza, compreso l’embargo di armi e sanzioni mirate” per garantire che venga rispettata

“Mettete fine a questo incubo”

Sfollati palestinesi cercano rifugio tra le macerie di una scuola UNRWA a Khan Yunis.
Foto via X @UNRWA

La Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di “fermare immediatamente la propria offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah,” perché “potrebbe infliggere al gruppo palestinese a Gaza condizioni di vita che potrebbero portarne alla distruzione totale o parziale.” La più alta corte delle Nazioni Unite ha anche ordinato a Tel Aviv di aprire il valico di Rafah con l’Egitto, per far entrare aiuti umanitari, e garantire l’accesso a Gaza per investigatori e missioni di accertamento. Israele ha un mese per mettere rispettare le richieste della Corte, dopodiché dovrà fare rapporto alla corte. La corte ha anche espresso la propria “grave preoccupazione” per le condizioni dei prigionieri israeliani a Gaza. Le autorità israeliane hanno reagito alla decisione della Corte come potete immaginare. Il ministero delle Finanze Smotrich ha scritto su X che “chi chiede allo stato di Israele di mettere fine alla guerra, chiedono che esso decreti di cessare di esistere.” “Continuiamo a lottare per noi stessi e per l’intero mondo libero. La storia giudicherà chi oggi si è schierato dalla parte dei nazisti di Hamas e dell’Isis.” Il ministro della Guerra Gantz ha chiamato l’aggressione di Gaza una “campagna giusta e necessaria.” Il portavoce del governo Netanyahu VI Mencer ha dichiarato che “non ci sono poteri al mondo che ci porteranno a commettere il suicidio, perché fermare la nostra guerra ad Hamas è questo.” Il Consiglio di sicurezza nazionale ha fatto il verso alla decisione della Corte, dicendo che “Israele non ha condotto e non condurrà azioni militari nell’area di Rafah che potrebbero infliggere al gruppo palestinese a Gaza condizioni di vita che potrebbero portarne alla distruzione totale o parziale.”

Le decisioni della Corte internazionale di giustizia sono legalmente vincolanti, ma ovviamente la Corte non ha potere per farle applicare. Balkees Jarrah, direttrice associata del Programma per la giustizia internazionale di Human Rights Watch ha sottolineato che la decisione della Corte internazionale di giustizia può realizzarsi “solo se i governi usano la loro influenza, compreso l’embargo di armi e sanzioni mirate.” Martin Griffiths, sotto segretario generale agli Affari umanitari delle Nazioni Unite, ha accolto la decisione della Corte scrivendo che “non c’è stato niente di limitato nelle sofferenze causate dall’operazione militare israeliana a Rafah.” Al termine della propria nota, Griffiths chiede di “mettere fine a questo incubo.”

L’amministrazione Biden non ha commentato la decisione della Corte, limitandosi a ripetere che il presidente è sempre stato contrario a un’operazione a Rafah: gruppi per i diritti umani hanno chiesto nuovamente che Biden fermi tutte le spedizioni di armi verso Israele, e sul Guardian un editoriale di Mohamad Bazzi riassume che gli Stati Uniti hanno “un’ultima occasione” per fermare le IDF, o rischiano a loro volta di diventare “paria globali.” Sviluppi politici in questo senso sono difficili però: il sostegno a Israele resta largamente bipartisan — almeno tra funzionari di partito. Il senatore repubblicano Lindsey Graham ha scritto su X che “la CIG può andare all’inferno”: “È ormai giunto il momento di opporsi a queste cosiddette organizzazioni di giustizia internazionale associate alle Nazioni Unite. Il loro pregiudizio anti-israeliano è schiacciante.”

Nel frattempo, l’aggressione di Gaza non si ferma: venerdì sono stati uccisi di nuovo decine di civili — non ci sono numeri precisi perché l’intensità dei bombardamenti e degli attacchi delle IDF ha reso particolarmente difficile gli spostamenti delle ambulanze, e quindi le autorità sanitarie della Striscia hanno una idea solo sommaria del numero dei morti. La zona di Rafah, tra le altre, è stata colpita da pesanti attacchi di artiglieria. La situazione negli ospedali continua a degenerare: all’ospedale di al–Aqsa si stanno per fermare i generatori di ossigeno a causa della mancanza di carburante — mettendo a rischio la vita di più di 20 neonati.


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