In 6 paesi europei l’estrema destra è già al potere, e in 8 sigle estremiste sono in testa o al secondo posto nei sondaggi per le elezioni europee. Dopo anni che si parlava di “avanzata” dell’estrema destra in Europa, siamo arrivati al punto di rottura — almeno del “cordone sanitario,” ovvero della strategia politica dei partiti moderati di cooperare tra loro, anche se di diverse ideologie, pur di isolare partiti estremisti. La rottura del “cordone sanitario” è stato al centro anche dell’ultimo dibattito tra spitzenkandidaten — i candidati indicati dai partiti europei come possibili presidenti della Commissione europea — anche se sia Ecr che Id non c’erano, perché non hanno espresso un candidato. Durante la trasmissione a von der Leyen è stato chiesto espressamente se stia guardando a Ecr per la prossima maggioranza parlamentare, e la presidente uscente ha dichiarato di aver lavorato “molto bene” con Meloni. La presidente uscente ha una formula semplice per descrivere le forze con cui è disposta a lavorare: devono essere pro–UE, pro–Kyiv e anti–Putin. Meloni, secondo von der Leyen, ricade in questa categoria, ma non è chiaro cosa ne pensi del resto di Ecr — mentre invece la presidente ha dichiarato ancora di essere contraria a lavorare con Rassemblement National e Afd.
Il continuo guardare di von der Leyen a destra allarma i possibili alleati di centro e centrosinistra: a inizio mese Nicolas Schmit, lo spitzenkandidaten socialista, ha dichiarato espressamente che S&D non coopererà con i partiti di estrema destra, e ancora giovedì la co–leader dei Verdi tedeschi Ricarda Lang ha chiesto a von der Leyen di chiudere espressamente a una collaborazione con l’estrema destra.
L’interesse delle forze di destra verso l’estrema destra ha effetti anche oltre la famigerata alleanza tra Ppe e Ecr: Id ha deciso che Afd è un partito troppo estremista anche per loro. La decisione è arrivata nonostante il partito avesse estromesso il proprio capolista Maximilian Krah dopo le sue dichiarazioni neonaziste a Repubblica. Per Afd è un colpo molto duro — non essere parte di un gruppo politico ha conseguenze economiche e di accesso molto rilevanti — ma anche per Id l’operazione avrà un costo molto alto: in Germania Afd è al secondo posto nei sondaggi, e senza di loro la compagine parlamentare di Id non sarà corposa come Le Pen e Salvini potevano sperare fino a pochi giorni fa — a meno di non riuscire a intercettare qualche partito che potrebbe a sua volta uscire da Ecr nel corso della trattativa con von der Leyen.
Ilaria Salis è finalmente uscita dal carcere: la militante antifascista monzese, candidata al parlamento europeo, è stata posta agli arresti domiciliari dopo 15 mesi di detenzione nel carcere di Gyorskocsi utca, a Budapest. La decisione era attesa: gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini hanno dichiarato che “Siamo molto soddisfatti ma consideriamo i domiciliari in Ungheria solo un primo passaggio verso la libertà di Ilaria perché chiediamo che le venga revocata qualsiasi misura cautelare. A breve presenteremo la richiesta quantomeno per trasferirla in Italia e speriamo che il governo italiano si impegni perché questo avvenga, come ha sempre promesso di fare una volta ottenuti i domiciliari in Ungheria. Non c’è alcun motivo per cui, dopo quasi 16 mesi, sia ancora sottoposta a una misura cautelare in attesa del processo.” Ciò infatti non significa, ovviamente, che Salis sia al sicuro da prospettive più fosche. Oggi si terrà una nuova udienza del suo processo, sempre a Budapest, alla quale almeno non dovrebbe arrivare in manette e catene.