Norvegia, Irlanda e Spagna riconosceranno lo stato di Palestina
I Primi ministri di Norvegia, Irlanda e Spagna hanno annunciato formalmente che i loro stati riconosceranno lo stato di Palestina. Slovenia e Malta avevano preso impegni analoghi nelle scorse settimane
Il Primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre ha annunciato che il suo paese riconoscerà lo stato di Palestina — la Norvegia sarà il primo stato europeo a riconoscere la statalità palestinese, ma Irlanda e Spagna dovrebbero far seguito in tempi stretti: il premier Simon Harris dovrebbe tenere un discorso a riguardo già oggi, secondo indiscrezioni riportate dai media locali, e anche Sánchez dovrebbe esprimersi in giornata. Slovenia e Malta hanno preso impegni analoghi nelle scorse settimane, ma non hanno ancora annunciato formalmente il riconoscimento di uno stato palestinese. Il ministro degli Esteri israeliano Katz ha annunciato di aver richiamato in patria gli ambasciatori israeliani in Irlanda e in Norvegia, dicendo che intende “mandare un messaggio inequivocabile”: “Israele non rimarrà zitto di fronte a chi mina la propria sovranità.” Israele, ovviamente, non può pretendere nessuna “sovranità” sui territori che occupa nell’indifferenza delle leggi internazionali.
L’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ha annunciato la sospensione delle distribuzioni alimentari a Rafah — le operazioni militari in corso hanno reso impossibile accedere ai centri distribuzione dell’agenzia e del Programma alimentare mondiale. Più della metà della popolazione di Gaza dipende dalle consegne alimentari dell’UNRWA. Parlando con Associated Press, Steve Taravella, un portavoce del PAM, ha dichiarato che anche con la presenza del porto artificiale statunitense, ha spiegato che in assenza di coordinamento per garantire percorsi sicuri, anche gli aiuti umanitari che arrivano dal porto galleggiante statunitense avranno un impatto limitato. Nonostante il rischio che la situazione umanitaria degeneri ulteriormente, gli Stati Uniti sembrano essere soddisfatti di come vanno le cose a Rafah: un funzionario dell’amministrazione Biden — rimasto anonimo — ha detto ai giornalisti che “gli israeliani hanno aggiornato i loro piani” e che “hanno incorporato molte delle preoccupazioni che avevamo espresso.” Biden finora si è sempre dichiarato contrario ad un’operazione di terra a Rafah, che però è ormai sotto costante attacco da parte delle IDF. L’ultimo aggiornamento da Gaza riporta che gli attacchi delle IDF delle scorse ore hanno causato 16 ulteriori morti e un numero imprecisato di feriti.
La morte di Ebrahim Raisi rischia di rallentare ulteriormente qualsiasi possibile processo di pace. La settimana scorsa Axios aveva confermato che fossero in corso colloqui indiretti tra Stati Uniti e Iran — a Muscat, in Oman — per evitare una escalation regionale dell’aggressione di Gaza. Martedì Middle East Eye ha pubblicato un retroscena secondo cui la trattativa tra i due stati stava procedendo in modo positivo: Washington e Teheran avevano espresso il comune desiderio che ci fosse un cambio di governo a Tel Aviv, e che si arrivasse a una conclusione dell’aggressione israeliana a Gaza — oltre ovviamente a desiderare che il conflitto non si estendesse nella regione. La finestra di tempo per portare avanti la trattativa ora si fa strettissima: le elezioni anticipate si terranno in Iran il 28 giugno, ma poi le conversazioni rallenteranno inevitabilmente con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali statunitensi, in calendario per questo novembre.
Le autorità israeliane martedì sono tornate al centro della controversia sulla soppressione della stampa — sono state sequestrate strumentazioni di proprietà di Associated Press, accusando l’agenzia di aver continuato a fornire i propri materiali ad Al Jazeera, dopo la messa al bando del canale di inizio mese. La decisione è stata criticata da Yair Lapid, e Lauren Easton, la vicepresidente di AP alle comunicazioni, ha denunciato “l’uso abusivo del governo israeliano della nuova legge sulle emittenti estere.” Anche la Casa bianca ha ammesso che il sequestro era “preoccupante,” anche se la portavoce Karine Jean-Pierre non ha fatto il passo di condannare la misura. Alla fine le autorità israeliane hanno annunciato che restituiranno i materiali sequestrati all’agenzia, — la diretta video di AP da Gaza è stata ripristinata nelle prime ore di mercoledì. L’agenzia sottolinea che il video della diretta era largamente innocuo: “AP rispetta le regole di censura militare di Israele, che vietano la trasmissione di dettagli come i movimenti delle truppe che potrebbero mettere in pericolo i militari. La diretta di solito mostra fumo che si alza sul territorio” della Striscia.