CC–BY 2.0 DOD Photo by Benjamin Applebaum
Il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha richiesto l’emissione di mandati di arresto per il Primo ministro israeliano Netanyahu, il suo ministro della Difesa Gallant e tre figure apicali di Hamas, Yehya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh. Tutti sono accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Un gruppo di 3 giudici ora dovrà valutare se emettere i mandati e se permettere al caso di procedere — il tempo di attesa per queste valutazioni è attorno ai 2 mesi. Se emessi, i mandati non si traducono in un rischio immediato per Netanyahu e Gallant, perché Israele non è uno stato membro della Corte, ma potrebbero rendere più difficile viaggiare all’estero per il capo del governo e per il ministro. Anche se alla fine la Corte dovesse decidere di non emettere mandati, molti stati indicheranno la richiesta di Khan come motivo per mettere in discussione possibili richieste di assistenza da parte del governo Netanyahu. Anche la leadership di Hamas non è a rischio imminente di arresto: Haniyeh, il capo politico dell’organizzazione, vive in Qatar, che come Israele non è uno stato membro della Corte penale internazionale.
La richiesta di Khan ha scatenato reazioni di sdegno in tutto il mondo: sia l’ufficio di Netanyahu che Hamas hanno rilasciato dichiarazioni in cui si lamentavano di essere paragonati uno con l’altro. Netanyahu ha dichiarato che “rigetta con disgusto il confronto tra lo Israele democratica e gli stragisti di Hamas”; una nota di Hamas commenta in modo analogo, denunciando “i tentativi del procuratore capo della Corte penale internazionale di equiparare la vittima con il boia.” Nella politica israeliana si sono sollevate molte voci in sostegno del Primo ministro: il presidente Herzog ha definito la notizia “oltraggiosa,” il ministro degli Esteri Katz ha promesso che parlerà con i propri colleghi per neutralizzare la richiesta, anche Gantz, che pochi giorni fa minacciava di uscire dal governo parla di “profonda distorsione della giustizia” e di “bancarotta morale,” il ministro delle Finanze Smotrich, tra le voci più a destra del governo israeliano, parla di “odio per gli ebrei.”
Anche negli Stati Uniti la politica si è schierata in difesa di Netanyahu — ricorderete la lettera mafiosa minacciosa inviata a inizio mese da 12 senatori repubblicani alla Corte. Joe Biden ha commentato che la notizia è “oltraggiosa,” e ha garantito che gli Stati Uniti “saranno sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza.” Anche Biden sottolinea che “a prescindere da cosa dica implicitamente il procuratore, non c’è nessuna — nessuna — equivalenza tra Israele e Hamas.” In effetti, nell’aggressione di Gaza sono state uccise finora più di 35.500 persone — senza contare gli 11 mila dispersi, quasi certamente morti sotto le macerie o nascosti in fosse comuni. Nell’attacco di Hamas del 7 ottobre sono state uccise 1.139 persone. La notizia ha causato anche due momenti di involontaria onestà nella politica statunitense: il presidente della Camera Mike Johnson ha detto che “se verrà permesso alla Corte penale internazionale di perseguire i leader israeliani, i nostri potrebbero essere i prossimi”; mentre secondo il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller gli Stati Uniti avrebbero potere di “giurisdizione” su Israele.
La posizione degli stati europei è stata più variegata — a differenza degli Stati Uniti, gli stati europei sono membri della Corte. La ministra degli Esteri belga, Hadja Lahbib, ad esempio, ha commentato che “i crimini compiuti a Gaza devono essere perseguiti, a prescindere da chi li abbia compiuti,” e il ministero degli Esteri sloveno ha rilasciato un comunicato analogo. Altre dichiarazioni, tutte premettendo il rispetto per l’indipendenza della Corte, si sono appiattite su posizioni più vicine a quella statunitense.