Non vedo, non sento, non parlo

Il dipartimento di Stato statunitense ha pubblicato un report sull’aggressione di Gaza in cui si elencano molti casi di violazione del diritto internazionale umanitario — ma l’amministrazione Biden ritiene ancora “credibili” le garanzie di Israele sull’uso delle armi fornite da Washington

Non vedo, non sento, non parlo

Il dipartimento di Stato statunitense ha pubblicato l’atteso report sull’uso da parte di Israele delle armi che sono state inviate dagli Stati Uniti. Il documento arriva dopo la sospensione di una spedizione di armi verso Israele e dopo l’annuncio di Biden sulla sospensione generale in caso di un attacco di terra contro Gaza — e contiene diverse contraddizioni. Nel testo, il dipartimento di Stato elenca numerosi casi di aggressioni contro i civili e ricorda come Israele non abbia collaborato con i tentativi di Washington di far arrivare aiuti umanitari nella Striscia — ma in ogni caso alla fine gli autori dicono di non potersi esprimere in una “valutazione” definitiva sul rispetto o meno delle leggi umanitarie. Il documento comunque evidenzia l’ovvio: “Considerata la dipendenza di Israele sugli articoli di difesa statunitensi, è ragionevole valutare che gli oggetti di difesa coperti dalla NSM–20” — la legge per cui il dipartimento di Stato è stato costretto a pubblicare e consegnare questo report al Congresso — “siano stati usati dalle forze di sicurezza israeliane dopo il 7 ottobre in istanze incompatibili (sic) con i propri impegni con il diritto internazionale umanitario e con le best practice convenzionali per limitare il danno ai civili.” Tuttavia, “Israele non ha fornito abbastanza informazioni per verificare se questi oggetti di difesa sono stati utilizzati specificatamente in azioni che sono state accusate come violazioni del diritto internazionale umanitario a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.” Per questo, il documento si conclude dicendo che l’amministrazione ritiene ancora “credibili” le garanzie di Israele riguardo all’uso di armi statunitensi nel contesto delle leggi internazionali.

Nel frattempo, i carri armati israeliani hanno circondato la “zona rossa” di Rafah che nei giorni scorsi avevano chiesto fosse evacuata dai civili. Si tratta della parte più ad est della città, dove Israele sostiene si nascondano gruppi di miliziani di Hamas. Come tutti i giorni, l’aviazione israeliana ha condotto attacchi su tutta la Striscia, compresa proprio la città di Rafah, nei pressi del varco occupato dalle IDF nei giorni scorsi. Il governo del Sudafrica ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia di ordinare a Israele di ritirare le proprie forze da Rafah. Lo scorso gennaio, la Corte aveva ordinato a Israele di limitare le proprie azioni di guerra in modo da garantire che le proprie truppe non compissero atti in infrazione della Convenzione sul genocidio, ma finora il governo israeliano e l’esercito sembrano aver largamente ignorato le sue richieste.

Venerdì alle Nazioni Unite la Palestina ha ottenuto una vittoria simbolica ma comunque importante: l’Assemblea generale si è espressa con una larghissima maggioranza per chiedere al Consiglio di sicurezza di “riconsiderare in modo favorevole” la decisione di non conferire alla Palestina il titolo di stato membro. Su 193 stati membri, 143 hanno votato a favore, 9 contro — tra cui Israele e Stati Uniti, ovviamente, — e 25 si sono astenuti — tra cui anche l’Italia, la Germania, e l’Ucraina. L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha tenuto un discorso durissimo e ai limiti del caricaturale, accusando i colleghi di “odiare gli ebrei” e di “distruggere lo Statuto delle Nazioni Unite” — mentre lo diceva ha usato un tritadocumenti in miniatura per fare a pezzi piccoli fogli di carta con stampato lo statuto stesso.


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