Il convegno a cui è stata annunciata Sisi City. Foto via Facebook
|
Per anni, critici del governo di al–Sisi hanno bollato il progetto della Nuova Capitale Amministrativa, il progetto di una nuova città – capitale artificiale, come “Sisi City.” Adesso una Sisi City ci sarà davvero: a soli 15 km dal confine con Rafah, la città sarà costruita dall’imprenditore e leader miliziano Ibrahim al-Organi, diventato famigerato nelle scorse settimane perché le quote esorbitanti che una sua azienda, Hala, estrae dai palestinesi che stanno cercando di sfuggire dalla Striscia di Gaza, e dai convogli di aiuti umanitari che cercano viceversa di entrarvi, pretendendo pagamenti da più di 4 mila euro per ogni persona che vuole uscire dalla Striscia. Mercoledì Organi è stato nominato presidente della Arab Tribes Union, una nuova entità paramilitare che raccoglie combattenti di 5 gruppi tribali egiziani, e che si è occupata della security dell’evento in cui è stata annunciata Sisi City — sostituendo completamente esercito e polizia. La decisione di costruire una nuova città a 15 km da Rafah non è, come è facile immaginare, casuale, in questo momento: un membro del nuovo gruppo miliziano, Abdallah Salem Gahama, ha dichiarato che il progetto sarà un messaggio sia per “chi dubita le intenzioni dello stato di sviluppare il Sinai” che per “quelli che vogliono che il Sinai sia la soluzione della guerra israeliana su Gaza”: “La costruzione e lo sviluppo nel Sinai sono una risposta ai piani di Israele e Netanyahu, perché vogliono che l’Egitto ospiti i palestinesi. Noi ci opponiamo al trasferimento dei nostri fratelli palestinesi.”
A 15 km dalla futura Sisi City, intanto, i bombardamenti continuano: a Rafah sono state uccise due persone, tra cui un minore, ma l’aviazione delle IDF ha colpito in tutta la Striscia, uccidendo un numero non specificato di persone, che però WAFA pone comunque nell’ordine delle “decine.” Jens Laerke, il portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, ha avvisato che, se le IDF dovessero lanciare la propria azione di terra su Rafah, “centinaia di migliaia di persone sarebbero a rischio imminente di morte.” Un attacco porterebbe inevitabilmente a un “massacro di civili,” ma sarebbe anche “un colpo terribile alle operazioni umanitarie su tutta la Striscia” che al momento partono e sono organizzate tutte da Rafah.
La tensione per arrivare a un accordo per il cessate il fuoco prima che le IDF lancino il loro attacco su Rafah è altissima, e gli Stati Uniti non hanno mai fatto così tanta pressione su Hamas. Anche il direttore della CIA Bill Burns si è recato al Cairo per partecipare alla trattativa con i funzionari del politburo di Hamas. Blinken, nel frattempo, ha dichiarato che il gruppo è “l’unica cosa rimasta tra il popolo di Gaza e un cessate il fuoco,” e avrebbe chiesto al Primo ministro del Qatar di espellere il gruppo (!) nel caso si rifiuti di firmare il cessate il fuoco alle condizioni attuali. La Turchia ha invece confermato che non riprenderà a commerciare con Israele finché Tel Aviv non avrà approvato un cessate il fuoco permanente e aiuti umanitari non saranno arrivati nella Striscia. Per Israele si tratta di una colpo rilevante — il commercio con la Turchia ammonta a 7 miliardi di dollari all’anno. Dai retroscena, non è chiaro se l’accordo attuale preveda almeno un’apertura per la trattativa di un cessate il fuoco definitivo, o se si parta dal presupposto che una volta conclusa la tregua, le IDF torneranno all’attacco.