Conservare le prove dei delitti

Le prime indagini condotte sulle fosse comuni, trovate nei pressi dello stabilimento ospedaliero Nasser di Khan Younis, hanno fatto emergere segni di esecuzioni sommarie e di furti d’organi — almeno 20 persone, inoltre, sarebbero state sepolte vive

Conservare le prove dei delitti
Le macerie del quartiere al–Rimal della città di Gaza. Foto: WAFA

Le prime indagini condotte sulle fosse comuni, trovate nei pressi dello stabilimento ospedaliero Nasser di Khan Younis, hanno fatto emergere segni di esecuzioni sommarie ed extragiudiziali — e di persone che sarebbero state sepolte vive. Secondo un inviato di Al Jazeera, Tareq Abu Azzoum le persone sepolte vive sarebbero state almeno 20. I paramedici presenti sulla scena sospettano inoltre che ci siano stati furti d’organi. Le indagini procedono a fatica — 165 tra le persone rinvenute non sono ancora state identificate, perché i loro corpi sono stati sfigurati. Nei giorni scorsi si è parlato diffusamente di una indagine indipendente internazionale sulle fosse comuni, ma ovviamente non si tratta di una cosa rapida da organizzare — serve che uno degli organi legislativi ONU ordini l’indagine. Parlando con la stampa, il portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, Stéphane Dujarric, ha sottolineato l’importanza di “conservare le prove forensi” — una necessità più difficile ogni giorno che passa, essendo ovviamente molti dei corpi rinvenuti in stato parziale di decomposizione.

L’aviazione delle IDF ha lanciato un nuovo round di bombardamenti particolarmente violenti, colpendo specificamente civili nella città di Gaza — mentre scriviamo si contano altri 8 morti solo nel quartiere Tel al–Hawa. Nei giorni scorsi l’esercito israeliano ha schierato numerose truppe attorno a Rafah, in quelli che sembrano a tutti gli effetti preparativi per lanciare l’operazione di terra più volte minacciata contro la città dove hanno trovato rifugio più di 1,5 milioni di sfollati. Il gabinetto di guerra del governo Netanyahu VI si è riunito per preparare la nuova iniziativa, nonostante le crescenti preoccupazioni internazionali — il governo israeliano non ha mai presentato un piano credibile per evitare una strage di civili e la Striscia ha un crescente bisogno di un cessate il fuoco per rispondere alle molteplici crisi umanitarie in corso. Oltre alla carestia, il rischio della diffusione di malattie è sempre più alto — l’UNRWA denuncia che sono sempre più alti i tassi di dissenteria e di Epatite A.

Oggi dovevano partire le navi della Freedom Flotilla, la coalizione di gruppi e organizzazioni che lavora per portare aiuti umanitari a Gaza via mare. La prima missione della Freedom Flotilla è composta da 3 navi che trasporteranno 5.000 tonnellate di aiuti umanitari e 800 persone tra personale, attivisti e osservatori. Le navi dovevano partire oggi, però, e una nuova data per la partenza non è ancora stata fissata: la coalizione aveva intenzione di cercare di forzare il blocco israeliano — non è la prima volta che cerca di farlo; nel 2010 9 loro lavoratori e passeggeri furono uccisi dalla marina israeliana, scatenando una crisi diplomatica — ma nel frattempo Israele è intervenuta chiedendo alla Guinea–Bissau di ritirare la propria bandiera dalla nave ammiraglia della missione. La richiesta di Israele ha fatto scattare la richiesta di ulteriori ispezioni a bordo, che hanno costretto Freedom Flotilla a rimandare la partenza.


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