“Non si può fare la guerra a un campo profughi”
Monta la tensione sull’imminente operazione militare israeliano contro Rafah, dove nei mesi scorsi hanno cercato rifugio più di un milione di sfollati palestinesi
La tendopoli di Rafah. Foto: Wafa
Monta la tensione sull’imminente operazione militare israeliana contro Rafah, dove nei mesi scorsi hanno cercato rifugio più di un milione di sfollati palestinesi: dopo l’intervento statunitense di giovedì, Netanyahu ha chiesto alla leadership IDF di presentare al governo un piano che permetta di deportare “evacuare” i civili da Rafah. Si tratta, a tutti gli effetti, di un pro forma: non ci sono altri posti dove la popolazione palestinese può cercare rifugio, e quasi tutte le persone che sono a Rafah non hanno più una casa dove tornare.
Parlando con il Guardian, Francesca Albanese ha sottolineato che sembra che Israele stia ignorando gli ordini emessi dalla Corte internazionale di giustizia — Tel Aviv ha tempo fino al 23 febbraio per dettagliare alla CIG che azioni ha intrapreso per rispettare le richieste, che includevano la fine dell’incitazione al genocidio e il miglioramento dei canali di consegna di aiuti umanitari.
Dalla comunità internazionale continuano a sollevarsi voci che chiedono di non procedere con le operazioni militari a Rafah: Jan Egeland, il segretario generale della ONG Consiglio norvegese dei rifugiati ha dichiarato che Rafah “è diventato il più grande e più popoloso campo profughi del pianeta” e che “non si può fare la guerra a un campo profughi.”
La ministra degli Esteri australiana Penny Wong ha lamentato “la riduzione degli spazi sicuri per i civili.” Il ministero è “profondamente preoccupato dalle notizie di un’operazione militare a Rafah.” Anche la ministra degli Esteri canadese Mélanie Joly ha dichiarato che il governo di Ottawa è “profondamente preoccupato” per l’imminente attacco a Rafah. Joly scrive che un’operazione del genere avrebbe un “impatto devastante.” Sia Australia che Canada hanno recentemente sospeso i propri contributi all’UNRWA, e sostengono economicamente e militarmente Tel Aviv. In Canada sta aumentando la pressione della società civile per interrompere la vendita di armi ad Israele. In Australia i sondaggi indicano una ampia maggioranza che chiede che non si inviino armi a Israele, posizione che però è stata finora ignorata dalla politica.
Medici Senza Frontiere ha pubblicato una nota denunciando l’attacco, descrivendolo come una “escalation drammatica del massacro in corso.” Avril Benoît, la direttrice esecutiva statunitense di MSF, ha denunciato che “è diventato praticamente impossibile lavorare a Gaza, dato che tutti i nostri tentativi di fornire assistenza salvavite ai palestinesi sono stati ridotti dalla condotta delle operazioni belliche di Israele.”