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grab via Twitter @IsraeliPM

Lo scorso 13 ottobre — una settimana dopo gli attacchi di Hamas e l’inizio dell’aggressione israeliana a Gaza — il ministero dell’Intelligence israeliano preparava un documento con un programma radicale: costringere tutte le 2,3 milioni di persone che vivono nella Striscia di Gaza a trasferirsi nel Sinai, in Egitto. Lo rivela un report di Sicha Mekomit, che ha pubblicato il documento integralmente — lo trovate qui tradotto in inglese da +972 Magazine. L’esistenza di un piano del genere si era sussurrata nei giorni scorsi in alcuni retroscena sui media israeliani e internazionali. Nonostante il nome, il ministero dell’Intelligence non presiede nessuna agenzia di intelligence, e di solito si occupa di produrre documenti e studi per il governo. Il documento ipotizza che l’esercito israeliano faccia “evacuare la popolazione civile,” per poi creare tendopoli nel nord del Sinai per assorbire la popolazione di rifugiati. Lungo il confine bisognerebbe poi creare una “zona sterile di diversi chilometri,” “su territorio egiziano,” ovviamente “per prevenire il ritorno della popolazione, attività e residenze vicino al confine con Israele. Il ministro dell’Intelligence ha confermato che il documento è reale, ma l’ufficio del primo ministro lo ha bollato come una semplice ipotesi, un “documento orientativo.” Nella guida operativa del documento si indica, tra i punti necessari alla deportazione, il progressivo spostamento della popolazione verso il sud della Striscia — esattamente quello che le IDF hanno chiesto ripetutamente in queste settimane.

Pulizia etnica o no, la situazione resta gravissima. Netanyahu è tornato a usare linguaggio violento, dicendo che interrompere la strage di civili sarebbe “arrendersi al terrorismo”: “Così come gli Stati Uniti non hanno accettato un cessate il fuoco dopo il bombardamento di Pearl Harbor o dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre, Israele non accetta la cessazione delle ostilità con Hamas.” Il Primo ministro israeliano è tornato a citare un passaggio del Vecchio testamento, nel Qoelet: “C’è un tempo per la pace, e un tempo per la guerra.” Da Washington, il portavoce John Kirby gli ha dato ragione. Secondo la Casa bianca “un cessate il fuoco non è la risposta giusta in questo momento,” perché “Hamas è l’unico che ha da guadagnarci in questo momento, mentre Israele continua le proprie operazioni,” dimenticandosi evidentemente dei civili di Gaza sottoposti a stragi quotidiane. Gli Stati Uniti per ora sostengono solo la necessità di una “pausa” dell’aggressione.

C’è chi invece lavora attivamente perché le violenze si allarghino, come il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Ben-Gvir, che sta continuando la propria distribuzione gratuita di armi da fuoco verso i civili israeliani che vivono in città dove governa l’estrema destra — nonostante la sua campagna per l’armamento abbia causato l’unica vera frattura tra Tel Aviv e Washington, che aveva minacciato di fermare gli ordini di armi del governo israeliano.

Nel frattempo, le violenze sulla Striscia di Gaza e in Cisgiordania continuano ad aumentare: i bombardamenti si sono estesi anche al centro della Striscia, dove è stata colpita anche una residenza dove vivevano due famiglie, uccidendo 14 persone — mentre scriviamo non sono ancora stati diffusi dati aggiornati, ma si parla di nuovo di “decine” di persone uccise nella notte. In Cisgiordania è stata abbattuta una residenza civile ad Arora, a nord ovest di Ramallah. Secondo dati aggregati dall’UNICEF, ogni giorno l’aggressione israeliana su Gaza uccide o ferisce più di 420 bambini.

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