La strada di Meloni per l’elezione diretta del premier
Meloni ha confermato che se non troverà i numeri in parlamento, porterà la riforma costituzionale a referendum — ma fino a che punto è pronto il governo a spingere verso il presidenzialismo?
CC-BY-NC-SA 3.0 IT presidenza del Consiglio dei ministri
Meloni ha confermato che se non troverà i numeri in parlamento, porterà la riforma costituzionale a referendum — ma fino a che punto è pronto il governo a spingere verso il presidenzialismo?
Domenica e lunedì governo e opposizioni si sfidano in una importante tornata di elezioni amministrative — si vota in 598 comuni, di cui 13 capoluoghi di provincia e 91 sopra i 15 mila abitanti. Anche se ovviamente si tratta di candidature ereditate, è la prima vera sfida elettorale di Schlein, ma è anche una occasione per provare a regolare i conti dentro la maggioranza — Berlusconi è tornato a parlare in un altro video, in cui ha dichiarato in modo trasparente che “questo voto alle amministrative può incidere sul peso del nostro governo.”
Meloni ha chiuso la campagna elettorale con un discorso per niente istituzionale a Brescia, in cui ha rivendicato la priorità delle riforme istituzionali, in cui, ha confermato che se non troverà i numeri in parlamento, porterà la sua riforma a referendum: “O questa nazione la cambiamo davvero o non c’è bisogno che stiamo al governo come tutti gli altri.”
Le consultazioni sono andate più o meno come anticipato: la posizione di Conte e del M5S è stata piuttosto sfumata, dicendosi “disponibili a un rafforzamento dei poteri del premier ma in un quadro che non mortifichi il confronto parlamentare e che non mortifichi neppure la funzione del presidente della Repubblica.” Conte ha fatto notare che la linea del governo però “ci sembra un’assoluta contraddizione, da un lato vogliono perseguire un progetto di autonomia differenziata spinta, che finisce per svuotare l’autorità di governo di tantissime funzioni, e nello stesso tempo si mira a rafforzare i poteri dell’autorità di governo centrale.” Conte si è comunque reso disponibile alla creazione di una commissione parlamentare per discutere della questione.
Schlein e la delegazione del Pd invece si sono detti non disponibili a qualsiasi stretta autoritaria che preveda un’elezione diretta del presidente della Repubblica — Schlein ha chiesto a Meloni “e allora perché non una monarchia illuminata?” — dichiarandosi favorevoli a un rafforzamento dei poteri del premier bilanciato dalla possibilità della sfiducia costruttiva ma non alla sua elezione diretta. In compenso hanno portato altre cinque proposte: una riforma elettorale per superare le liste bloccate, attuazione dell’articolo 49, legge sul conflitto d’interessi, limitazione dei decreti d’urgenza e rafforzamento degli istituti referendari. Il Pd ha anche fatto notare che ritiene la discussione sulle riforme un tentativo di sviare l’attenzione del governo dai problemi del paese. La parte destra del Pd in realtà sarebbe anche favorevole a dialogare con Meloni, ma per ora non sembra trovare spazio.
Non è chiaro quali saranno i prossimi passaggi del confronto. Le opposizioni però non sembrano coordinatissime per il momento, e Meloni può sperare almeno di dividerle: Avs ad esempio si è dichiarata contraria a qualunque riforma, mentre Azione e Italia Viva sono disponibili a sedersi al tavolo con il governo per l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Oggi Maria Elena Boschi ha dichiarato che “noi di Italia viva riteniamo che non ci sia la necessità di un coordinamento con le opposizioni, tantomeno con i Cinque stelle.” La proposta di Conte di creare una commissione è una parziale apertura a Meloni, che però potrebbe sfociare in un pantano per la presidente del Consiglio, come tutti gli organismi e le iniziative in proposito degli ultimi trent’anni.