CC-BY-NC-SA 3.0 IT presidenza del Consiglio dei ministri
Ancora prima di incontrare le opposizioni, il governo ha chiuso la porta al dialogo: Meloni ha dichiarato “voglio fare una riforma ampiamente condivisa, ma la faccio,” mentre secondo il ministro Calderoli “la sinistra e Conte dovrebbero prendere atto che hanno perso le elezioni”
Da Ancona, Meloni ha trasformato quello che doveva essere un appuntamento elettorale in sostegno al candidato sindaco di destra, Daniele Silvetti, in un comizio sui mesi trascorsi e sulle ambizioni venture del governo. La presidente del Consiglio è stata particolarmente irruente sulla questione delle riforme istituzionali: “Voglio fare una riforma ampiamente condivisa, ma la faccio,” ha dichiarato Meloni, “perché ho avuto il mandato dagli italiani e tengo fede a quel mandato: voglio dire basta ai governi costruiti in laboratorio, dentro il Palazzo.” L’idea dei governi “costruiti in laboratorio,” “di Palazzo,” è un’idea che negli anni scorsi è stata ampiamente accreditata in ambienti centristi e anche del centrosinistra — anche se ovviamente la nascita di governi che rappresentano diversi compartimenti del paese è una funzionalità di una buona democrazia funzionante, e non un difetto da correggere. Il governo sembra essere fermamente schierato sulla linea del finto dialogo: l’apertura alle opposizioni c’è soltanto se alle opposizioni va bene quello che il governo vuole fare. L’ha detto in parole povere anche il ministro Calderoli stesso, in un’intervista al Corriere, in cui di fatto chiude a qualsiasi possibilità di dialogo: “La sinistra e Conte dovrebbero prendere atto che hanno perso le elezioni,” ha detto il ministro a Marco Cremonesi, “se il loro ruolo vuole essere esercitato soltanto come diritto di veto, non ce l’hanno. Io suggerisco loro di fare proposte e correzioni. Se hanno maturato il lutto, bene. Se no, se ne riparla tra 5 anni.” La dichiarazione di Calderoli dimostra la poca solidità dell’idea di governi — che fattualmente non rappresentano la maggioranza della popolazione — che hanno pieno potere di decidere delle politiche e della forma dello stato, e incastrando il paese in un circolo vizioso eterno di distruzione e ricostruzione.
Oggi, nel corso della giornata, Meloni incontrerà tutte le forze di opposizione per presentare le riforme istituzionali: la giornata si apre alle 12:30 con il Movimento 5 Stelle — nella delegazione ci sarà anche Conte, che inizialmente non sembrava intenzionato a incontrare la presidente del Consiglio — e si chiuderà alle 19:45, dopo un incontro, probabilmente da remoto, con Elly Schlein. La linea della segreteria Pd sembra essere un no a qualsiasi soluzione che renda più forte la carica del governo, che sia un presidenzialismo o un premierato: “La convocazione non sia un modo per distrarre l’attenzione sui temi che interessano le persone e le necessità del Paese: lavoro, sanità, Pnrr,” ha dichiarato Schlein. Il terzo polo invece sembra essere prontissimo a una stretta autoritaria, con Calenda che ha dichiarato di essere per “più poteri al Premier, monocameralismo, riordino del federalismo.”
Meloni insiste che “non penso a un uomo solo al comando” ma anche, strizzando l’occhio alla sua base fascistoide, che “non accetto atteggiamenti aventiniani.” L’orizzonte delle riforme è molto lontano, almeno un paio d’anni, per cui in questo momento contare i voti in parlamento ha senso fino a un certo punto — ma il dato di fatto è che senza un lavoro di allargamento del fronte alle opposizioni, il governo andrà inevitabilmente a schiantarsi su un referendum costituzionale, come è successo anche a Berlusconi e Renzi.