foto: European Commission (Claudio Centonze)
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La Commissione europea ha presentato il piano di riforma del patto di stabilità, e per l’Italia non si preannunciano buone notizie: terminata l’esperienza del Covid, le linee guida sono tornate a un debito pubblico sotto al 60% del Pil — in Italia è al 144% — e deficit non oltre il 3%.
Meloni aveva chiesto di non conteggiare le spese destinate a crescita, transizione verde e difesa nel calcolo generale, ma ha ricevuto una risposta negativa. Ogni paese fuori dalle linee dovrà presentare un piano per effettuare un “aggiustamento fiscale minimo” dello 0,5% del Pil all’anno — il rischio, come al solito, è sacrificare lo stato sociale e scaricare il peso del debito sulle spalle della popolazione meno abbiente: l’Italia rischia una “manovra correttiva” da 14-15 miliardi all’anno.
Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, ha difeso le nuove regole: “Promuovono una maggiore titolarità nazionale attraverso piani strutturali di bilancio a medio termine preparati dagli stati membri” e approvarle sarebbe “nell’interesse di tutti gli stati membri, rassicurerebbe i mercati finanziari e gli investitori.” Anche l’europarlamentare del Pd Irene Tinagli ha commentato positivamente la proposta, che è stata accolta con scetticismo dal M5S: invece di “abbracciare politiche economiche espansive neo-keynesiane, si decide di tornare al passato, alle fallimentari dottrine dell’austerità e del rigorismo finanziario.” Su questa linea si è espresso anche il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri, secondo cui la riforma “preoccupa particolarmente,” visto che “i Paesi con alto debito e deficit come il nostro, dunque, avranno molte difficoltà nel garantire investimenti nel sociale, nel digitale e green in presenza dei parametri di aggiustamento presentati questa mattina.” La riforma in realtà non piace neppure alla Germania, che invece chiedeva linee guida ancora più stringenti.
Sul governo Meloni e sul paese cresce — forse parallelamente — anche la pressione di Bruxelles perché venga ratificata al più presto la riforma del Mes. La questione, ormai annosa, sta arrivando alle strette: un funzionario europeo, secondo Today, sosterrebbe che finché il Parlamento italiano non ratificherà il testo “non sarà infatti possibile parlare di altre riforme, a partire da quelle richieste dallo stesso governo di Giorgia Meloni.” Con il Mes, se una banca rischia il fallimento l’Ue potrebbe intervenire con questo strumento per frenare sul nascere speculazioni dannose: per molti si tratterebbe di una garanzia a protezione del sistema bancario italiano, mentre per altri sarebbe una fonte di pericolo peggiore del male — facendo notare le garanzie vincolanti su riforme e tagli da effettuare per ripagare quanto versato dal fondo.