La commissione Politiche europee del Senato ha approvato la risoluzione presentata dalla maggioranza contraria alle indicazioni Ue sul riconoscimento dei figli anche da parte di genitori dello stesso sesso
Il certificato europeo di filiazione prevederebbe che la genitorialità, stabilita in uno Stato membro, sia riconosciuta in ogni altro paese membro — senza alcuna procedura speciale, che si tratti di figli di coppie eterosessuali, omogenitoriali, adottati o avuti tramite maternità surrogata. La decisione del governo arriva soltanto un giorno dopo l’imposizione al comune di Milano di non registrare più i figli nati da coppie dello stesso sesso.
Secondo il segretario di FdI alla commissione Politiche europee, le indicazioni sarebbero “andate a ledere i principi di sussidiarietà e proporzionalità. La risoluzione contro il certificato europeo è inoltre necessaria, affinché non venga bypassato, pur nella dovuta tutela dei diritti fondamentali dei figli e dei minori in genere, il divieto di maternità surrogata vigente in Italia.” Le opposizioni hanno usato parole durissime contro quella che viene definita dalla capogruppo Pd al Senato, Simona Malpezzi, “un attacco ai diritti dei minori inaudito,” sostenendo che “la la maggioranza ha deciso di dividere i bambini tra serie A e serie B.” Alessandro Zan ha dichiarato che “ormai siamo alla destra ungherese.” Secondo Ilaria Cucchi di Avs, “i figli devono godere degli stessi diritti, indipendentemente dal modo nel quale sono stati concepiti o sono nati e dal tipo di famiglia.” Anche secondo il M5s il governo “sull’asse di Orban e della Polonia sulla materia dei diritti.”
Così la maggioranza decide di mettersi in aperto confronto con la leadership europea: la questione della genitorialità è uno dei punti dell’azione di von der Leyen, che nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2020 aveva sottolineato che “chi è genitore in un paese, è genitore in tutti i paesi.” L’opposizione della destra è ideologica: come sottolinea la Commissione europea, i cittadini europei possono spostarsi sul territorio comunitario per lavorare, comprare case, iniziare famiglie — la mancanza di un certificato di filiazione è un ostacolo oggettivo al funzionamento dei meccanismi europei, e il discorso non può concludersi al rifiuto teologico contro il diritto alla genitorialità. Se il governo dovesse seguire l’indicazione della commissione del Senato, l’Italia fermerebbe tutta l’Unione europea: il certificato deve essere accolto all’unanimità dagli stati membri, con conseguenze gravissime — potrebbe succedere che in alcuni paesi i minori interessati — due milioni — potrebbero arrivare ad essere considerati apolidi e privi di diritti.