I carri armati leggeri francesi vanno in Ucraina
L’Eliseo ha confermato ai media che la Francia consegnerà all’Ucraina alcuni “carri armati leggeri,” gli AMX-10 RC, dismessi due anni fa dall’esercito di Parigi
Un AMX-10 RC attraversa le strade di Parigi in occasione della Festa nazionale francese, nel 2011.
Foto CC BY-SA 4.0 Boevaya mashina
L’Eliseo ha confermato ai media che la Francia consegnerà all’Ucraina alcuni “carri armati leggeri,” gli AMX-10 RC, dismessi due anni fa dall’esercito di Parigi
Ieri Macron l’ha confermato direttamente a Zelenskyj, anche se al momento non è noto quanti mezzi verranno consegnati e con quali tempistiche. Si tratta di carri armati leggeri, usati nella guerra moderna quasi unicamente a scopi di ricognizione, ma è comunque la prima volta che uno stato occidentale decide di fornire all’Ucraina carri armati. Nella telefonata a Zelenskyj, Macron avrebbe detto al presidente ucraino che la Francia avrebbe garantito “sostegno risoluto,” “fino alla vittoria.” Gli AMX-10 RC sono carri armati leggeri entrati in produzione in Francia negli anni Settanta, e in dotazione dell’esercito francese dal 1981 — un consigliere dell’Eliseo commenta che sono “vecchi ma potenti.” Sono stati usati in missioni di avanscoperta nella prima Guerra del Golfo, in Afghanistan e nel Sahel. Sono molto leggeri — costruiti in alluminio — e per questo si possono muovere su ruote, senza bisogno di ricorrere al cingolato. Da due anni a questa parte l’esercito francese ne sta abbandonando l’uso, per sostituirli coi più nuovi EBRC Jaguar. In totale lo stato francese è in possesso di 247 AMX-10 RC. L’ufficio di Zelenskyj ha confermato che la Francia fornirà anche veicoli trasporto truppe, gli ACMAT Bastion. La notizia è stata poi anche confermata da Zelenskyj, che ha ringraziato l’alleato francese: “Grazie amico, la tua leadership ci fa avvicinare alla vittoria.”
Il ministero della Difesa russo ha confermato che la teoria secondo cui la strage di Makiïvka sarebbe stata causata dall’uso massiccio di cellulari da parte dei militari presenti nell’istituto professionale, che avrebbe permesso alle forze armate ucraine di determinare le coordinate per lanciare l’attacco. L’entità dei danni causati dal bombardamento confermerebbero che le munizioni non erano stoccate separatamente dagli spazi dedicati alle truppe, una sistemazione che il ministero della Difesa britannico ha bollato come “non professionale.” BBC News ha pubblicato le prime immagini satellitari di Planet Labs che mostrano l’impatto del bombardamento.
Economia e costi di guerra
Il sostegno all’Ucraina è una materia molto più complessa di quanto si ammetta quotidianamente — lo dimostrano due inchieste dei media statunitensi. Un’esclusiva di CNN riporta che i droni iraniani usati dalla Russia sono costruiti con parti che arrivano dagli Stati Uniti, dal Canada, dalla Svizzera, dal Giappone e da Taiwan. L’esercito ucraino ha ritrovato 52 parti dei droni — gli Shahed-136 — e 40 di queste sono parti riconducibili a 13 aziende statunitensi, mentre le rimanenti 12 parti individuate finora sono attribuite ad aziende degli altri stati. Il produttore iraniano dei droni, la HESA, è sotto sanzioni dal 2008, ma evidentemente le aziende e lo stato iraniano hanno trovato un modo per continuare a ottenere le forniture. Si tratta, inoltre, di una produzione molto economica: il New York Times calcola che il costo di un singolo drone kamikaze si aggirerebbe attorno ai 20 mila dollari, mentre il costo per l’Ucraina e gli alleati per abbatterli è sostanzialmente più alto — tra i 140 mila dollari se si usano i sistemi S-300, di produzione sovietica, e i 500 mila, se si usano i sistemi NASAMS statunitensi. In queste settimane l’Ucraina è riuscita ad abbattere un numero ingente di droni, ma il rischio è che, con il prolungarsi della guerra, “il vero vincitore sia il paese che spende meno,” commenta il quotidiano di New York.
Nel bel mezzo della crisi energetica europea e della crisi climatica mondiale, intanto, molti credevano che la Francia sarebbe stata in una situazione favorevole grazie ai propri ingenti investimenti nell’energia atomica. Invece, il settore nucleare francese è in difficoltà: a novembre quasi metà dei 56 reattori francesi era chiuso per lavori di manutenzione e 15 sono ancora non operativi. Gli effetti di questa crisi sono di portata storica: questo autunno la Francia è tornata ad importare energia, per la prima volta da circa 30 anni, mentre il governo Macron dovrà nazionalizzare Électricité de France per evitarne la bancarotta.