Non solo diritto all’aborto: i conservatori americani si preparano a continuare la loro offensiva contro tutti i diritti civili, dall’istruzione per gli immigrati fino al diritto di voto
Gli Stati Uniti devono affrontare una guerra interna. Non una classica guerra civile, ma una culturale che si combatte ogni giorno nelle scuole, sui libri, nei tribunali, nei seggi elettorali, nelle TV e sui social network.
Potrebbe apparire come una banale semplificazione quella di dividere in due blocchi un Paese composto da 50 Stati e 330 milioni di persone, ma due fazioni, appartenenti una al Partito Democratico, l’altra al Partito Repubblicano, si scontrano sul futuro. La guerra scaturisce dalla progressiva radicalizzazione del partito repubblicano, che lavora per limitare i diritti politici e civili di tutte le persone.
Un trucco di forma per bloccare i diritti
La Costituzione americana è una costituzione rigida: ciò significa che per modificarla è richiesto un procedimento aggravato di revisione, come in Italia. Secondo la corrente di pensiero denominata “originalismo,” il compito dei giudici dovrebbe essere quello di interpretare la legge nella maniera più fedele possibile alla Costituzione.
Se il contenuto di una legge non è contemplato dai dettami costituzionali, il giudice lo boccia, poiché, non essendo presente nella Costituzione, non rientra nella sua sfera di applicazione. Questa dottrina è la quintessenza del conservatorismo, ma se in ambito giuridico e accademico questa è considerata una posizione accettabile, sul piano politico tale atteggiamento è stato adoperato come arma dalla dirigenza repubblicana per comprimere, uno alla volta, i diritti negli Stati Uniti. Partendo dall’istruzione, come sta avvenendo in Texas.
La prima vittima: l’istruzione
“Penso che riesumeremo quel caso e contesteremo di nuovo questo tema, perché le spese sono straordinarie e i tempi sono diversi.” Così si è espresso il governatore repubblicano del Texas, Greg Abbott, sulla sentenza “Plyler v. Doe”, emessa nel 1982 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Cosa decise di talmente scandaloso il massimo organo giudiziario statunitense quarant’anni fa da indurre Abbott a fare un nuovo ricorso? Quella sentenza afferma il diritto universale, all’istruzione pubblica: l’esito di Plyler v. Doe obbligò i governi locali statunitensi a fornire e finanziare l’educazione scolastica ai bambini illegalmente entrati nel Paese.
All’epoca la maggioranza non fu schiacciante (5 favorevoli e 4 contrari) e le opinioni dei giudici contrari si appellavano soprattutto a una questione di forma: non essendo materia trattata dalla Costituzione, stava al potere legislativo il Congresso — e non a quello giudiziario legiferare sull’immigrazione.
La presidenza Biden, dopo due anni, non ha ancora fatto niente per annullare il Title 42, la norma, re-introdotta con la scusa del Covid dal suo predecessore Donald Trump, che prevede l’espulsione automatica di tutti gli immigrati che potrebbero diffondere malattie contagiose negli Stati Uniti. Anzi, l’amministrazione Biden ha addirittura intensificato le espulsioni di cubani e nicaraguensi, nonostante avesse in programma di revocare il provvedimento entro fine maggio.
Il sistema statunitense di asilo è disumano e forse neanche il politico più volitivo del mondo potrebbe cambiarlo, visti tutti gli ostacoli burocratici e giudiziari da fronteggiare al di sopra dei partiti . Ecco perché i repubblicani vogliono approfittarne. Ecco perché Greg Abbott vuole togliere l’istruzione gratuita ai bambini. E con una Corte Suprema così schierata a destra, sarebbe sciocco non provarci.
Dalla Corte suprema alla fine del diritto all’aborto
Allo spostamento a destra della Corte suprema ha contribuito Donald Trump, il quale, durante il suo intenso mandato quadriennale alla Casa Bianca, ebbe l’inaspettato compito di nominare ben tre giudici della Corte Suprema, tutti famosi per i loro orientamenti conservatori. Questa rara congiuntura — due morti e un pensionamento in pochi anni — ha permesso di sbilanciare così tanto la divisione tra giudici conservatori e democratici da permettere di erodere diritti per i quali finora erano mancati i voti..
Mentre la Camera dei Rappresentanti ha fatto passare un disegno di legge, arenatosi al Senato, per codificare il diritto all’aborto, i giudici dell’alta corte statunitense sarebbero in procinto di revocare questo diritto, esprimendosi in merito a Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, un caso che mette in discussione la costituzionalità della legge del Mississippi che vieta tutte le IVG dopo la 15esima settimana di gravidanza. Nella propria opinione, la maggioranza dei giudici si esprime per annullare un precedente del 1973, ovvero la sentenza Roe v. Wade, che legalizzò l’interruzione di gravidanza su tutto il territorio degli Stati Uniti. Quella storica decisione fu fondamentale perché per la prima volta riconobbe e creò un diritto.
Da sempre Roe è stata controversa, non tanto per ciò che stabilì, ma per la sua genericità: ad esempio, la Corte non trasferì nessuna competenza al governo federale, ammettendo la giurisdizione, seppur limitata, dei singoli Stati, i quali, a intervalli regolari, hanno tentato in tutti i modi di restringere l’accesso all’aborto chiudendo cliniche o vietandolo dopo un determinato lasso di tempo. Sfruttando questo cavillo, criticato anche dalla giudice progressista Ruth Bader Ginsburg, i repubblicani sembra che vinceranno la loro partita contro Roe, focalizzandosi di nuovo sulla forma e non sulla sostanza, mascherando così le reali intenzioni di questa battaglia politica.
Nella motivazione della bozza, il giudice Samuel Alito ha scritto che: “La conclusione inevitabile è che un diritto all’aborto non è profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della [nostra] nazione.” I conservatori possono finalmente esultare, dopo tante sconfitte mai digerite, una su tutte la legalizzazione dei matrimoni per tutti, arrivata nel 2015, a 11 anni dai referendum voluti da George W. Bush per aumentare l’affluenza dei suoi elettori e per mettere al bando le nozze gay, mentre il GOP preparava un emendamento costituzionale che non vide mai la luce. Ma adesso i tempi sono maturi: il capo dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, ha detto che un’abolizione totale dell’aborto negli Stati Uniti è possibile, e il linguaggio dell’opinione di Alito — che parla di libertà di “pensare e dire” quello che vogliono sulla propria “esistenza,” sull’“universo, e il mistero della vita umana,” ma che non sono liberi di “comportarsi come vogliono, in base a queste convinzioni” — fa temere che il prossimo precedente a essere superato potrebbe essere Lawrence v. Texas, con cui nel 2003 furono dichiarata incostituzionali le leggi contro la “sodomia.”
Votare ha dei rischi: i diritti politici secondo i repubblicani
La manifestazione più lampante della distruzione dei diritti politici negli Stati Uniti per mano dei repubblicani sono le 250 leggi approvate dalle assemblee statali per smantellare il diritto di voto.
Frutto di un’ossessione nata dalle ceneri della mancata rielezione di Trump nel 2020, il piano dei conservatori ha uno scopo preciso: la soppressione del voto. Per realizzarlo, i parlamenti locali a maggioranza repubblicana si stanno attrezzando con misure se non altro creative.
In Florida, per esempio, diventerà illegale offrire cibo e acqua agli elettori in coda fuori dai seggi. Il Sunshine State si sta inoltre aggiungendo alla lista di Stati colpevoli di gerrymandering, la pratica – non sempre legale – di disegnare i confini dei distretti elettorali in modo da disperdere i consensi per l’altro partito, e conquistando il numero maggiore di seggi.
In Georgia, invece, la cosiddetta Anti-Voter Law (così chiamata dall’American Civil Liberties Union) riprende alcune disposizioni dalla Florida e mira a minimizzare il voto postale, scoraggiando – come ha denunciato il dipartimento di Giustizia – il voto afroamericano, decisivo alle ultime presidenziali nell’area metropolitana di Atlanta. I primi effetti di questi sforzi legislativi si potranno registrare già a novembre, quando gli Stati Uniti torneranno alle urne per le elezioni di metà mandato che, almeno secondo i sondaggi (e la storia), dovrebbero premiare l’opposizione repubblicana a Joe Biden. Infine, non poteva mancare il Texas, dove i democratici hanno cercato di ostruire il passaggio di un’altra riforma elettorale fuggendo dallo Stato, salvo poi dover fare il loro ritorno. Qui Abbott e i parlamentari texani hanno seguito il manuale del loro partito: elettori cancellati dai registri, seggi chiusi e ulteriori limitazioni al voto anticipato.
Cambiare Trump per non cambiare niente
Questa lotta sta funzionando? Negli ultimi anni non ci sono state abbastanza consultazioni per misurare la forza della culture war nelle campagne elettorali. Una, tuttavia, risalta, non solo per il tangibile impiego di un’efficace comunicazione, ma per l’aspetto cronologico: le elezioni in Virginia. A novembre 2021, nell’Old Dominion, diventato ora un feudo democratico, si sono sfidati l’imprenditore Glenn Youngkin e l’ex governatore Terry McAuliffe, amico e alleato di Hillary Clinton.
L’elezione sembrava propendere in favore dei Dem, ma la rimonta dei repubblicani è avvenuta nell’ultimo mese e mezzo.Youngkin è riuscito a prendere il controllo del dibattito politico, scandendone il livello e costringendo il suo avversario a inseguirlo. A fare presa sugli elettori sono state le proposte di vietare l’insegnamento della Critical Race Theory e di togliere l’obbligo della mascherina nelle scuole.
In assenza di una controparte valida, Youngkin ha trionfato e oggi governa con questo spirito pseudolibertario, sognando ulteriori restrizioni sull’aborto che – almeno per il momento – non potrà introdurre per via della maggioranza democratica al Senato statale. Come mai allora gli elettori non sono terrorizzati da questi assalti ai loro diritti? Le ragioni potrebbero essere infinite, ma c’è un fatto: i repubblicani possiedono la consapevolezza di essere fortemente impopolari, eppure si distinguono per la loro concretezza. I democratici, invece, non sempre riescono a mantenere le loro promesse e quando detengono il controllo del Congresso, come adesso o come quando Barack Obama potè servirsi di due super maggioranze nel 2008, sono stati perlopiù inconcludenti.
in copertina, foto CC BY 2.0 Paul Becker
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