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in copertina, la protesta in Foley Square a New York. Foto CC BY-SA 4.0 Legoktm

Migliaia di persone sono scese in strada in tutti gli Stati Uniti per difendere il diritto all’aborto. A Los Angeles la polizia ha reagito con violenza, mentre a Washington i democratici non hanno molti strumenti per difendere l’IVG a livello federale, sia dal Congresso che dalla Casa bianca

Dopo la pubblicazione della bozza del documento della Corte suprema, in tutti gli Stati Uniti migliaia di persone sono scese in strada per protestare a difesa del diritto all’aborto. Si è tenuta una manifestazione di fronte alla sede della Corte suprema, ma tantissime persone hanno manifestato anche ad Atlanta, a Chicago, a Denver, a Los Angeles — dove la polizia ha reagito con violenza — a Seattle e in molte altre città. La manifestazione più partecipata è stata quella di New York, dove molti manifestanti si sono presentati vestiti di verde, richiamandosi alla Marea Verde del Sudamerica. Non si può sminuire l’importanza di queste proteste: anche se il confronto finale per il diritto all’IVG si terrà al Congresso, la vera battaglia sarà necessariamente di comunità. Guardando con crescente scetticismo il partito democratico, il movimento pro-choice statunitense si sta preparando da tempo al momento in cui la destra potrebbe riuscire finalmente a minare Roe v. Wade, la sentenza che dal 1973 garantisce il diritto all’aborto a livello federale.

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Sull’onda degli eventi di ieri, il governatore dell’Oklahoma Kevin Stitt ha firmato una legge anti–aborto che ricalca il modello di quella del Texas, che in modo controverso era già riuscito a bypassare le protezioni federali, dando ai singoli cittadini la possibilità di denunciare chi pratica interruzioni volontarie di gravidanza. Annunciando la firma della legge, Stitt ha dichiarato che vuole rendere l’Oklahoma “lo stato più pro–life del paese.” In realtà in Oklahoma, tra le cosiddette “trigger laws,” era già stata approvata una legge che metteva al bando di fatto tutti gli aborti.

La cancellazione di Roe v. Wade, infatti, si tradurrà in un’ondata di leggi liberticide: l’Oklahoma e altri 12 stati hanno già approvato leggi “trigger” che entreranno automaticamente in vigore non appena non ci sarà più l’ostacolo di quel precedente. Oltre a questi tredici bisogna aggiungere gli stati che hanno già adattato leggi sul modello di quella texana, o che hanno altre leggi simili in corso di stesura. In totale, si contano almeno 26 stati in cui l’aborto diventerebbe illegale — più di metà degli Stati Uniti.

Ma cosa possono fare i democratici? Non molto: la Camera ha approvato più di un anno fa una legge che protegge il diritto all’aborto a livello federale, ma il testo è fermo perché non ci sono i voti con cui approvarlo al Senato — la Camera alta è spaccata esattamente a metà, e tra i democratici c’è più di un senatore anti–abortista. Biden potrebbe usare i propri poteri esecutivi, ma per farlo dovrà mettere le autorità federali in aperto contrasto con le leggi locali.

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