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Il collettivo di Campi Bisenzio ha creato una rete tra il mondo operaio, studenti e lavoratori. Gli autori del piano per “reindustrializzare l’Italia” ci spiegano un modello alternativo di produttività, basato su industria verde e solidarietà

Negli ultimi mesi il Collettivo di Fabbrica Gkn e i solidali hanno girato l’Italia, costruendo sinergie con lavoratori delocalizzati, precari e in lotta. Gli incontri hanno preparato il terreno alla manifestazione di Firenze del 26 marzo, che ha concluso  l’ ”Insorgiamo tour” (ne avevamo scritto qui). 

Quali sono i prossimi passi? Per quanto riguarda lo stabilimento di Campi Bisenzio, i lavoratori hanno ottenuto la creazione di una Commissione di proposta e verifica, che coinvolge operai, proprietà, sindacati, Mise, Regione, comune di Campi Bisenzio e comune di Firenze. Chiunque la può convocare per verificare i piani della nuova proprietà e l’avanzamento della reindustrializzazione. 

Ma non è solo intorno a questo tavolo che proseguirà il lavoro del Collettivo di Fabbrica. Caro vita e no alla guerra sono i temi caldi su cui operai e solidali stanno progettando una nuova stagione di lotte a livello nazionale.

Reindustrializzare l’Italia

Sono stati mesi di discussioni con studenti, gruppi locali e associazioni, che hanno reso la parola “Gkn” il simbolo di una nuova stagione di rivendicazioni e attività politica dal basso. Le realtà incontrate dal Collettivo vanno dai movimenti ambientalisti (Fridays For Future, Extinction Rebellion e assemblee ecologiste) a gruppi di lavoratori impegnati in dure vertenze: da TIM ad Alitalia, da Whirlpool a Caterpillar. Fino ad arrivare ai centri sociali e ad altre realtà del Terzo settore, come Rete Fuorimercato, Arci Nazionale e Società della cura.

Mesi di elaborazione, confronto e scrittura hanno dato vita a una proposta di reindustrializzazione, un “Piano pubblico per la mobilità sostenibile,” che mira ad attivare energie e saperi operai, universitari, istituzionali e imprenditoriali. La proposta non si limita al caso dello stabilimento toscano, ma delinea un modello che può essere esteso sul territorio nazionale. Il testo è stato presentato l’11 marzo all’assemblea di fronte alla fabbrica, con la partecipazione degli operai e degli accademici solidali.

Il nuovo piano industriale di Gkn

Non è casuale che la proposta prenda la forma di un piano. È una scelta lessicale che ha ragioni precise: indica la necessità di una nuova politica industriale che punti davvero allo sviluppo dell’economia e al benessere della popolazione in una logica di programmazione.

Per Andrea Roventini, professore ordinario al Sant’Anna di Pisa, fra le ‘menti’ dietro alla proposta, l’innovatività del Piano risiede in due fattori principali. Innanzitutto, “allinea l’attività della GKN alla transizione verde.” “Si prevede — dice Roventini — di produrre per la mobilità sostenibile pubblica e/o per la produzione di idrogeno verde attraverso elettrolizzatori, per partecipare così alla creazione di una hydrogen valley in Toscana. Entrambe le strategie, possibilmente complementari, sono in linea con gli obiettivi del Pnrr.”

Il Piano “prevede la partecipazione attiva del Centro di Competenza Artes 4.0 a supporto delle strategie dell’impresa, della realizzazione e test di prototipi e nella formazione dei lavoratori. L’intervento di Artes 4.0 non si limita alla GKN ma si rivolge anche alle altre imprese della zona per realizzare concretamente lo sviluppo dell’industria 4.0,” introducendo un uso preponderante di strumenti informatici e l’analitica dei dati nelle attività industriali.

Il Piano pone fin da subito le basi concrete per una collaborazione con il Centro di competenza Artes, poiché delinea gli interventi da realizzare per favorire il trasferimento tecnologico e, soprattutto, lo coinvolge già in partenza fra i promotori.

Il Pnrr non basta per la politica industriale

Secondo Lorenzo Cresti, dottorando in Economia al Sant’Anna di Pisa e membro del gruppo che ha redatto il Piano, la proposta Gkn “supera la logica orizzontale e neutrale che ha caratterizzato i timidi interventi degli ultimi anni. Le chiusure e le crisi industriali non si risolvono con gli incentivi e gli ammortizzatori, ma attuando una vera politica industriale che sappia costruire filiere produttive, mettere in collegamento imprese, centri di ricerca e attori istituzionali e che sia ambiziosa nel cogliere le sfide che ci troviamo davanti, a partire dalla transizione verde.”

Neanche il Pnrr sfugge agli errori del passato: “La politica industriale è debole e frammentata. Non ci si rende conto — continua Cresti — che per avere davvero un trasporto locale verde o delle valli dell’idrogeno serve una politica industriale che metta insieme fornitori e commesse, dagli stabilimenti che potrebbero fabbricare componenti agli enti locali che domandano gli autobus elettrici, per esempio. L’innovatività sta nell’affrontare questioni fondamentali, per esempio: cosa si produce, dove e come; tenendo insieme buona occupazione, innovazione e sostenibilità.”

Il Pnrr manca di una visione complessiva nei suoi interventi di politica industriale, che appaiono slegati e poco ambiziosi. Inoltre,  non tiene in dovuta considerazione le possibilità e i vincoli dell’industria italiana. Manca la consapevolezza di quali siano i settori realmente strategici su cui puntare, e non ci sono riferimenti alle aree di crisi industriale precedenti alla pandemia.

A dicembre 2019, infatti, al Ministero dello sviluppo economico (Mise) si contavano ben 149 tavoli di crisi. Oggi quel numero è sceso a 69, ma ciò è dovuto anche al fatto che alcune aziende hanno ormai chiuso i battenti, mentre altre sono passate al ministero del Lavoro per indennità e cassa integrazione. Per non parlare delle aziende con meno di 250 dipendenti, che rimangono ai tavoli regionali. Il settore in maggiore difficoltà è quello metalmeccanico. Secondo la Fim-Cisl, sono 51 i tavoli al Mise e 56 quelli regionali che la riguardano.

Il piano Gkn è un primo passo in una direzione diversa. Esso indica che è necessario recuperare gli strumenti della programmazione economica, da decenni messi in soffitta , attraverso l’aggiornamento  e il confronto con i vincoli tecnici e politici oggi esistenti. Ecco perché il collettivo e i solidali hanno svolto, accanto all’attivismo, un’opera profonda di elaborazione concettuale e costruzione di alleanze e relazioni.

Fra le altre cose, da questo lavoro emerge una risposta alla delicata crisi del settore automotive. Una risposta che, come ha sottolineato Dario Salvetti della Rsu Gkn l’11 marzo, “si muove verso l’idea di fabbrica socialmente integrata”: una fabbrica che dialoghi con i bisogni dei lavoratori, della comunità locale e dell’ambiente.

Convergenza, competenza, dialogo con le istituzioni

Innanzitutto, il movimento nato dal Collettivo di Fabbrica Gkn si configura come una piattaforma dal potenziale federativo enorme. 

Come ci dice Francesca Gabbriellini del gruppo di ricerca solidale Gkn, “alla fatidica domanda ‘che fare?’, il Collettivo di Fabbrica ha risposto ‘convergenza,’ tra lotte operaie e lotte per la giustizia climatica, tra lotte transfemministe e studentesche, con l’obiettivo di disarticolare i rapporti di forza vigenti e cancellare il ricatto salute contro lavoro, contro l’ambiente, contro la cura.” Non si tratta di un’innovazione — l’innesto tra la lotta operaia e quella studentesca ha reso possibile il Sessantotto — ma di una caratteristica che negli scorsi decenni si era fatta sempre più rara.

È dello stesso parere Lorenzo Cresti, secondo il quale siamo di fronte a “un esempio di vera e propria convergenza di mondi e settori che hanno sempre fatto fatica a comunicare — figuriamoci a fare fronte comune nelle lotte — ma che hanno condiviso le stesse dinamiche di precarietà, sfruttamento e impoverimento economico e sociale.”

Gli “esperti” coinvolti nella stesura del piano, si sono impegnati nel progetto Gkn per lla comunanza di visione politica con gli operai. La competenza tecnica, dunque, viene messa al servizio di certi obiettivi politici. A questo si aggiunge il ruolo delle maestranze operaie. I lavoratori, in questo modo, dimostrano di possedere saperi industriali indispensabili, al contrario di un management che sempre più finisce per avere competenze esclusivamente finanziarie.

Un’altra caratteristica che distingue l’azione politica del collettivo è il rapporto costruttivo con le istituzioni nazionali, di cui si critica l’indirizzo politico, senza rifiutarne il valore. Fra le altre cose, il Piano propone il coinvolgimento diretto di Invitalia (l’Agenzia governativa italiana che si occupa di investimenti) come garante dell’interesse pubblico. In generale, tutta la proposta si richiama al ruolo dell’attore pubblico, alla politica industriale, all’aspirazione degli operai di essere classe dirigente. Insomma, non è la protesta antipolitica che abbiamo conosciuto negli ultimi anni.

Come dice Roventini, questo movimento è “una speranza concreta per le prospettive politiche ed economiche del Paese.” Non solo perché “offre un nuovo modello di gestione aziendale e di organizzazione del lavoro dato che i lavoratori partecipano alle scelte aziendali ed i loro saperi sono valorizzati,” ma anche perché “il movimento dei lavoratori della Gkn ha inaugurato una nuova e salutare stagione di confronto sociale che potrebbe rimettere temi centrali come la protezione del lavoro, la politica industriale e la lotta alla disuguaglianza al centro dell’agenda politica.”

tutte le foto via Facebook / Collettivo Di Fabbrica – Lavoratori Gkn Firenze

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