Oltre la metà dei rifugiati ucraini in Italia sono donne, il 38% minori: alcune sperano di tornare presto nel loro paese, mentre molte altre cercano di trovare lavoro e un futuro in Italia. Profili lavorativi diversi dal passato, che spesso non incontrano la domanda di lavoro
“Ieri [venerdì 25 marzo] ho incontrato una donna di Dnipro prima che partisse per la Sardegna, dove raggiungerà una comunità ucraina. A lei, madre di tre figli, hanno assicurato cibo e alloggio, ma aveva un’urgenza più pressante: chiedeva di trovare lavoro.” Oles Horodetskyy è un punto di riferimento per i profughi ucraini che arrivano in Italia. Nei giorni scorsi, in veste di presidente dell’Associazione cristiana degli ucraini nella penisola, ha partecipato a un incontro con le altre associazioni ucraine registrate in Italia. È stata un’occasione di confronto per parlare di tutte le problematiche della diaspora, comprese le questioni lavorative.
Per ora la ricerca di lavoro passa attraverso vie private. Le offerte viaggiano sulle pagine Facebook italo-ucraine dove, tra richieste di ospitalità e post a sostegno dell’Ucraina, si trovano nuove opportunità: da posizioni come farmacisti e traduttori, fino a operai specializzati in falegnameria, risorse umane, personale alberghiero e della ristorazione. Fuori dai social, diverse aziende si sono mobilitate per garantire posti di lavoro ai rifugiati. 67 imprese di Padova e Treviso hanno messo a disposizione 190 posizioni, molto varie tra loro: settore metalmeccanico, arredo, design, alimentare, cartario, ma anche calzature, chimica farmaceutica, alberghi e informatica. In Romagna, invece, la rete Riviera Sicura ha annunciato che 300 donne ucraine potranno trovare lavoro – per un periodo da 3 a 6 mesi – negli alberghi di Rimini e dintorni. Manca il personale per la stagione estiva, e la riviera cerca di fare di necessità virtù. Si muove nella stessa direzione Confcommercio Udine, che prova a coinvolgere gli ucraini per colmare una cronica carenza di personale negli alberghi e nei pubblici esercizi.
La proposta dalle associazioni di Milano: una piattaforma per il lavoro
“A Milano ci sono già aziende che si sono mosse e collaborano con diverse fondazioni e associazioni”, spiega Tetyana Bezruchenko, di ritorno da un incontro in Comune per conto dell’Associazione Italia-Ucraina Maidan. Il dialogo con le istituzioni è stato fittissimo negli ultimi giorni e ha garantito che la macchina dell’accoglienza di Milano girasse in maniera “esemplare”, dice Bezruchenk. Resta però aperta la questione lavorativa. “Per il momento non possiamo fare nulla perché prima deve essere decisa la strategia a livello centrale e devono arrivare le direttive dal ministero del Lavoro.” Le associazioni hanno le idee chiare: vogliono creare una piattaforma centralizzata che metta in contatto diretto offerta e domanda di lavoro. Partendo da Milano e Lombardia, con un modello che potrebbe essere esteso a livello nazionale. “Ma al momento non esiste un formulario predisposto dallo Stato italiano dove i rifugiati possono inserire il proprio livello di esperienza e altre informazioni utili,” ricorda Fabio Prevedello, che di Italia-Ucraina Maidan è presidente onorario. Insomma, “le aziende offrono posti lavoro ai cittadini ucraini, ma non sanno come raggiungerli.”
Questa e altre questioni saranno al centro di alcune riunioni che dovrebbero essere organizzate dal ministero del Lavoro e altri dicasteri nei prossimi giorni. Non c’è però ancora niente di ufficiale, spiegano dal ministero di Orlando, anche se le organizzazioni si aspettavano un incontro già la scorsa settimana. Horodetskyy, che è stato nominato portavoce delle associazioni italiane, si confronterà con le istituzioni sui temi dell’accoglienza e del lavoro. In attesa di indicazioni, la società civile cerca di organizzarsi per convogliare le offerte delle aziende con le richieste dei rifugiati. Spuntano modelli improvvisati a livello locale.
Sul sito del Comune di Milano e sulla pagina Facebook del consolato ucraino è possibile compilare un form dove i rifugiati che necessitano di aiuto possono inserire dati utili, tra cui la propria professione. Un modulo simile è stato diffuso dalla Protezione Civile del Veneto, per offrire ospitalità e posizioni lavorative. Mentre Conflavoro PMI ha lanciato una piattaforma più articolata con lo stesso obiettivo. Sono piccoli esperimenti virtuosi, “che però non hanno le capacità che potrebbe offrire lo Stato,” commenta Prevedello. “Il sistema dovrebbe funzionare piuttosto come un’agenzia interinale. Ma le istruzioni hanno trascurato questo passaggio.”
Nelle prime concitate settimane di arrivi, la narrazione della diaspora si è focalizzata soprattutto sull’accoglienza, in particolare sulla ricerca di alloggi e cibo per gli sfollati. Il tema del lavoro è passato in secondo piano, anche perché tanti non vogliono restare in Italia. Molte delle persone con cui ha parlato Horodetskyy sperano di tornare subito a casa, nel giro di uno o due mesi. Ma c’è anche chi ha perso tutto e non pensa di tornare. “Una signora scappata da Zaporižžja mi ha raccontato di aver perso la casa: il palazzo è crollato durante i combattimenti. Suo marito è stato ucciso. Non ha più nulla in Ucraina, quindi se si troverà bene in Italia resterà qui.”
Irina, 30 anni, fuggita da Kyiv: Non penso che riuscirei a fare la badante perché penso sia per gente più grande di me. Sono abituata a fare altre cose.
Ma anche chi non pensa di restare vuole rendersi utile, aiutando il proprio Paese senza rinunciare al lavoro. Uliana, 33 anni, è arrivata a Roma da una settimana. A Kyiv faceva l’artista e la traduttrice free lance; collaborava anche con l’ambasciata italiana. Proprio lì, una settimana prima dell’invasione, aveva esposto i sui quadri nell’ambito di una mostra su Dante Alighieri. Ora sta cercando di costruire la sua indipendenza in Italia. “Cercherò di promuovere in qualche modo la mia arte, anche attraverso progetti per supportare l’Ucraina. Vorrei aiutare da qui. Vorrei cercare di vendere arte per aiutare i soldati ucraini,” racconta. Un amico le ha offerto lavoro nel suo ristorante. “Ho questa opzione se mi servirà. Non ho paura di rimanere senza lavoro: io credo in me stessa.”
Giovane, con buona conoscenza della lingua italiana, Uliana parte da una posizione avvantaggiata. Storie come la sua vanno in direzione opposta alla realtà migratoria prima del 24 febbraio. La larga maggioranza (79%) degli ucraini che vivono in Italia è donna. E il 65% si occupa di servizi pubblici, sociali e alle persone. L’assistenza agli anziani, in particolare, è molto diffusa. Anche la diaspora ha coinvolto soprattutto le donne: 36 mila su 72mila rifugiati ucraini in Italia (dati aggiornati al 28 marzo). Tra chi ha trovato accoglienza in Italia ci sono solo 6 mila uomini, mentre i minori sono 28mila. Il motivo è semplice, con la mobilitazione generale e militare Zelenskyj ha vietato ai maggiorenni fino ai 60 anni di lasciare il Paese.
Un’altra trentenne fuggita da Kyiv, Irina, non ha dubbi: “Non penso che riuscirei a fare quel lavoro [la badante ndr] perché penso sia per gente più grande di me. Sono abituata a fare altre cose.” Irina ha fatto la costumista per 10 anni e ora è in contatto con i registi italiani: “Mi stanno aiutando mettendomi in contatto con i colleghi italiani, anche un lavoro come assistente mi andrebbe bene.” Nel momento del bisogno, le rifugiate ucraine si affidano ai legami professionali, familiari e di amicizia. Il loro futuro lavorativo inizia qui.
tutte le foto via Facebook / Ambasciata d’Ucraina in Italia
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