Nella capitale, a due passi da Europaplatz, centinaia di volontari offrono il primo soccorso a chi è scappato dalla guerra in un’organizzazione solidale che sta aiutando migliaia di rifugiati, 18 mila solo a Berlino. Mohamed, Vika e Anna ci hanno raccontato le loro storie d’esilio
Pochi giorni dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino, a Berlino migliaia di volontari e volontarie hanno dato il via a un esteso grassroots movement d’aiuto umanitario.
I centri nevralgici sono le stazioni bus e ferroviarie principali della città (Hauptbahnhof, ZOB, Ostkreuz, Südkreuz). E mentre il numero di persone che fugge dall’Ucraina cresce a dismisura — più di tre milioni dall’inizio della guerra —, qui gli sforzi si intensificano per offrire a rifugiati e rifugiate assistenza capillare già dal momento del loro arrivo.
Mohamed, 24 anni, originario del Marocco e in Ucraina da tre anni per studiare Economia, condivide la sua storia: “Il mio viaggio è iniziato 10 giorni fa a Dnipropetrovs’k,” racconta, “all’inizio viaggiavo con un amico, l’ho lasciato in Moldavia. Io ho provato a entrare in Romania, ma non c’era più posto. Ho proseguito per 1500km con la mia macchina, anche seguendo un bus guidato da un uomo ucraino che conosceva scorciatoie nella foresta per evitare i posti di blocco.” Mostra un video, una camionetta su una strada sterrata, nessun cartello stradale, alberi radi, neve. “Siamo arrivati a Lviv e ho dormito lì per due giorni. Da lì ho provato a spostarmi in Polonia, ma le strade erano completamente bloccate.” Altro video, una spianata infinita di fari accesi nella nebbia: “In 2 giorni sono riuscito a percorrere solo 10 km, poi ho deciso di abbandonare la mia macchina e parte dei miei bagagli e camminare. Ho proseguito così per altri 50 km. Questo è tutto quel che mi è rimasto,” commenta indicando un piccolo trolley al suo fianco.
“Al confine polacco le cose si sono fatte difficili. La dinamica di smistamento era fortemente razzista: i cittadini ucraini venivano fatti passare tranquillamente, agli stranieri come me veniva detto di tornare sui nostri passi. Hanno persino minacciato me e i miei amici con dei fucili. Prima di lasciarmi andare mi hanno dato un colpo alla gamba: da quel momento ho iniziato a zoppicare. Finalmente sono riuscito ad arrivare alla stazione ferroviaria di Varsavia e da lì ho raggiunto Berlino.”
Hauptbahnhof, il cuore pulsante della rete di supporto è una piccola metropoli di stand, tende, mucchi di vestiti e altri beni di prima necessità, aree private delimitate da pareti in plexiglass e pezzi di stoffa, situata a una rampa di scale di distanza dall’ingresso principale di Europaplatz. Qui pettorine grigie — organizzatori e organizzatrici — attualizzano su una lavagna gli orari di arrivo dei treni da Polonia e Repubblica Ceca, riportano comunicazioni urgenti tramite megafono, coordinano pettorine arancioni — in grado di parlare russo e/o ucraino — e pettorine gialle — il resto di volontari e volontarie —, indirizzando risorse umane verso i binari durante gli orari di punta.
È da qui infatti che la popolazione ucraina in arrivo viene prelevata e accompagnata al centro volontariato. Si stima che ad oggi il numero totale di persone accolte in Germania sia di 50 mila rifugiati, di cui 18 mila nella sola Berlino. Nella stazione centrale, gli arrivi giornalieri sono circa un migliaio. “La maggior parte, direi almeno l’80%, ha già le idee chiare su dove andare. Noi ci limitiamo a fare da centro informazione e assistenza”, spiega uno degli organizzatori. Chi muove verso mete internazionali viene indirizzato al secondo piano, al DB (Deutsche Bahn) Zentrum. Qui è sufficiente mostrare un passaporto ucraino per ricevere un biglietto del treno gratuito. Chi invece sceglie di rimanere in Germania può rivolgersi allo stand DB nel centro volontari. Allo stesso modo, per gli spostamenti sui mezzi a Berlino fino a fine marzo non servirà comprare biglietti, sarà sufficiente mostrare un passaporto ucraino a eventuali controllori.
Tra le altre decisioni implementate in Germania in risposta alla direttiva di protezione temporanea emanata dall’UE ci sono anche la concessione di rimanere nel Paese senza registrarsi come residenti per i primi 90 giorni di permanenza e la possibilità di ricevere assegni statali previa registrazione come rifugiati di guerra, oltre a servizi extra come accesso gratuito a piscine e musei per bambini. L’ufficio registrazione è raggiungibile attraverso uno shuttle gratuito in partenza da Hauptbahnhof a cadenza regolare. All’arrivo, il protocollo prevede un Corona test, la distribuzione di prodotti per l’igiene di base, assistenza sanitaria e, per chi non avesse parenti presso cui soggiornare in Germania o una destinazione ulteriore da raggiungere, una stanza e tre pasti al giorno.
Al piano superiore rispetto al centro volontariato, nella weisse Zelt (ossia tenda bianca) a gestione governativa, infermieri e infermiere di lingua ucraina sono al lavoro di concerto con la DRK (ossia la Croce Rossa tedesca) per offrire assistenza medica. Su questo piano anche una toilette a libero accesso, informazioni certificate su possibilità di housing e uno stand dedicato alla distribuzione di SIM cards gratuite, una per famiglia ed esclusivamente per persone sopra i 18 anni.
Chi transita in attesa di muovere verso la destinazione successiva, o chi ha semplicemente bisogno di un pasto caldo dopo viaggi che arrivano a durare diverse giornate, può fare riferimento all’area food, rifornita da un flusso continuo di donazioni. Welcome bags, tè e caffè, panini vegetariani, vegani e halal sono serviti e consumati in un’ampia sala adibita a mensa, con tavoli e panche. Da pochi giorni sono stati implementati anche stand con cibo per cani e gatti, oltre a gabbiette, collari, giocattoli.
Nonostante le criticità, per molti l’avamposto spontaneo si è rivelato provvidenziale. Riprende Mohamed: “Qui ho ricevuto attenzione medica. Dopo la botta ricevuta al confine polacco e la lunga camminata al freddo la circolazione nella mia gamba si era fermata, mi hanno fatto un’iniezione alla DRK e ora sembra tutto a posto,” racconta “in più, quando sono arrivato a Varsavia ero diventato pazzo, non dormivo per una notte intera e non mangiavo nulla di caldo da giorni, ho ancora gli incubi a pensarci. Qui in stazione mi sono rifocillato. Sono a Berlino da due giorni ormai, ma torno spesso qui per mangiare un boccone.” I piani futuri sono incerti: forse andrà in Francia o in Belgio, dove vivono i suoi parenti. Nel mentre però non si abbatte, e anzi sdrammatizza: “Quando sono partito ero pieno di muscoli, ho sempre nuotato e giocato a tennis. Dopo quest’esperienza ho perso massa, voglio trovare un posto dove stare tranquillo e tornare a prendermi cura di me.”
La storia di discriminazione al confine di Mohamed è tristemente comune ad altri rifugiati non ucraini in fuga dalla guerra: ne abbiamo parlato qui. In risposta, nel centro è stata allestita anche un’area d’ascolto dedicata a offrire supporto psicologico e burocratico – informazioni su permessi di soggiorno, passaporti.
Accanto sorge uno stand LGBTQIA+, nato da una simile esigenza: “Chi passa da noi cerca principalmente assistenza medica LGBTQIA+ friendly, c’è chi ha bisogno urgente di prendere ormoni”, spiega Kauri, 28 anni, dalla Finlandia, “stiamo compilando una lista in continua espansione che include contatti per medici, ostelli, psicologi e psicologhe. Molte di queste persone hanno subito discriminazioni pesanti al confine e necessitano di particolare cura e attenzione.”
Tra gli altri servizi aggiuntivi offerti si contano una stille Zelt (ossia tenda silenziosa) per concedere alle neomamme uno spazio in cui riposare e allattare, un quartiere protetto per bambini gestito da educatori e educatrici con giocattoli e materiale da disegno, uno spazio dedicato alla distribuzione di vestiti e prodotti per l’igiene personale, una stazione per Corona test e una per ricaricare i cellulari.
Kauri spiega anche che molte di queste iniziative sorgono a partire da spinte comunitarie all’interno del principale gruppo Telegram dell’avamposto, che ad oggi conta oltre 16 mila membri. Qui, spiega, è possibile evidenziare criticità, lanciare proposte, immaginare soluzioni comuni e reclutare le risorse umane per rendere operative le proprie idee.
Le comunicazioni passano attraverso amministratori e amministratrici della chat. I messaggi variano da strettamente pratici — “SERVE URGENTEMENTE INTERPRETE LINGUA DEI SEGNI A ZOB [Stazione Centrale dei bus]. POSSIAMO MANDARE MACCHINA” —, a motivazionali — “Grazie a volontari e volontarie della Food Station per tutti gli sforzi di questi giorni!” — a veri e propri avvertimenti — “Attenzione! Stando ai report della Polizia, ci sono persone che avvicinano i nostri volontari e altri passanti e offrono loro denaro per accogliere giovani donne e/o bambini.” Quest’ultima è una criticità ben presente agli occhi di organizzatori e organizzatrici, che a ogni briefing invitano volontari e volontarie a tenere sott’occhio i civili non registrati che si presentano spontaneamente ai binari per offrire alloggio a nuovi arrivati e arrivate. L’imperativo è riportare immediatamente alla Polizia qualsiasi situazione sospetta.
Come Mohamed, mostra una certa intraprendenza anche Anna, 23 anni, originaria di Kyiv e in viaggio con Vika, 29 anni, da Kharkiv. Le due ragazze si sono incontrate a Lviv durante la fuga e hanno deciso di intraprendere insieme il viaggio verso la Germania, facendo tappa intermedia a Varsavia. Anna è una tattoo artist e sta approfittando di questo spostamento inaspettato per fare un tour di tattoo shops: ha in programma date a Berlino, Lipsia e Monaco fino ai primi di Aprile, anche se dice che non posterà foto sul suo feed finché la guerra non sarà finita.
Data la natura informale dell’organizzazione della piattaforma di supporto di Hauptbahnhof, è difficile fare previsioni attendibili sul futuro del centro. Al momento i flussi non danno cenno di diminuire e i responsabili si aspettano di continuare a essere a lavoro full time almeno per le prossime settimane.
Quel che invece è certo è che per Anna, Vika, Mohamed e per una grossa percentuale dei rifugiati e delle rifugiate passati per la stazione nelle ultime settimane, l’improvvisato centro d’aiuto, pur caotico e in continua metamorfosi — “L’informazione più importante che posso darvi è che nessuna informazione è valida, tutto è in movimento,” esclama nel corso di un briefing un volontario senior — rappresenta una vera e propria ancora di salvezza, oltre che un passo nella direzione di una nuova normalità.