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Se il conflitto scatenato dalla Russia ci insegna che molte donne donne ucraine sono venute in Italia per svolgere lavori domestici, l’ultimo rapporto Domina dimostra quanto il loro lavoro rimanga precario, senza garanzie e spesso invisibile

Chiamando Eva torna dopo una settimana di pausa per riflettere sul lavoro domestico in Italia, partendo dal bluff di Lucia Annunziata e Antonio Di Bella. “Centinaia di migliaia di cameriere e badanti…” e “amanti”: si sono riferiti così i due giornalisti alla comunità ucraina in Italia. Annunziata e Di Bella si sono scusati, ma forse era il caso proprio di non dire una cosa del genere in principio.

In Italia una grande fetta di popolazione femminile si dedica al lavoro domestico — ma viene spesso trascurata nel dibattito pubblico o, ancor peggio, trattata con razzismo.

Una buona notizia per il settore è di inizio anno: dal primo gennaio 2022 ci sono nuovi minimi retributivi per il lavoro domestico. Il sindacato Assindatcolf ha fatto però notare che cambierà ben poco. Sono infatti pochi i lavoratori regolarizzati: la maggior parte si muove in nero. Il report di Domina uscito settimana scorsa mostra infatti che, nonostante la domanda di lavoro domestico sia in aumento, gli irregolari (circa un milione) continuano a superare i regolari (921 mila). La metà dei lavoratori sono extracomunitari — spesso senza permesso di soggiorno — che si trovano in difficoltà a richiedere la cittadinanza perché senza lavoro contrattualizzato. Le principali nazionalità sono Romania, Ucraina e Filippine. Ma non per questo possiamo definire gli ucraini una popolazione di “badanti.” Al posto di fermarsi agli stereotipi, bisognerebbe invece analizzare le intersezioni tra disuguaglianze di genere e razziste che caratterizzano il settore.

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in copertina, foto via Twitter / @PolandMOI