in copertina, foto CC BY 4.0 Kremlin.ru
L’Unione europea arriva completamente impreparata all’escalation militare, senza gli strumenti economici e diplomatici necessari, e con una classe politica che non sa gestire l’emergenza
Al termine di un lungo discorso incendiario, Vladimir Putin ha annunciato il riconoscimento delle autoproclamate repubbliche di Doneck e Lugansk, le parti del Donbas sotto il controllo dei separatisti filorussi, inquadrandolo però in un più ampio contesto storico — con lo scopo, di fatto, di negare la validità dell’esistenza stessa dell’Ucraina. Putin si è posto come diretto erede dell’impero russo zarista, in posizione di aperta criticità con la Russia sovietica, alla quale attribuisce molte colpe. Parlando della NATO, ha detto che le dichiarazioni che dovevano rassicurarlo — sul fatto che l’ingresso dell’Ucraina nell’organizzazione non sarebbe avvenuto a breve — non gli davano pace, perché “nel contesto storico non sarebbe cambiato niente.” Il discorso, registrato, si è concluso bruscamente per dare spazio a una breve cerimonia in cui Putin ha firmato le carte con cui ha riconosciuto le due repubbliche. Poco dopo, il Cremlino ha annunciato l’ingresso delle truppe russe nella zona, con lo scopo di condurre una missione di “peacekeeping” — Al Jazeera ha trasmesso un video notturno in cui si vedono veicoli militari in giro per le strade della repubblica di Doneck.
Ma cosa succede ora? È difficile dirlo: i paesi europei hanno condannato compatti la decisione di Putin — Macron ha detto che il suo discorso era “paranoico,” mentre Scholz ha parlato di una “violazione unilaterale” degli accordi di Minsk. Per l’Italia ha commentato la crisi Luigi Di Maio, che ha detto che la decisione di Mosca “costituisce un grave ostacolo nella ricerca di una soluzione diplomatica.” L’Austria ha dato la propria disponibilità a includere il gasdotto Nord Stream 2 tra le sanzioni. Tuttavia, è risaputo da settimane che arrivare a un accordo su quali sanzioni approvare sarà difficile.
Immediatamente dopo il discorso di Putin, sono piovute le dichiarazioni, più o meno di ferma condanna di molti leader: von der Leyen e Michel hanno condannato la decisione del presidente russo “nel modo più netto possibile,” aggiungendo che “l’Unione reagirà con sanzioni contro tutte le persone coinvolte in questa azione illegale.” La ministra al commercio britannico Truss ha detto che il Regno Unito si accoderà alle sanzioni europee. A Washington, Biden ha già firmato un primo pacchetto di sanzioni — di portata piuttosto limitata — sperando di bilanciare l’intento punitivo con la necessità di riaprire i canali diplomatici. Poco dopo, durante una sessione notturna del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’ambasciatrice statunitense Linda Thomas-Greenfield ha commentato che Mosca sta “cercando di creare il pretesto per un’ulteriore invasione dell’Ucraina,” definendo “nonsense” la pretesa che si tratti di una “missione di peacekeeping.” Nel corso della notte gli Stati Uniti hanno iniziato a spostare tutto il proprio personale fuori dall’Ucraina.
È chiaro che una delle ragioni per cui le prime sanzioni di Biden sono limitate è proprio quella di lasciare spazio d’azione ai propri partner europei. Tuttavia, coordinare sanzioni tra 27 paesi, la cui dipendenza economica dalla Russia è molto diversificata, è ovviamente complicato. A inizio mese retroscena da Bruxelles volevano che la situazione fosse molto complessa, e non è chiaro se nei giorni successivi si sia arrivati a una soluzione di compromesso a porte chiuse. Solo tre giorni fa il presidente del Consiglio Draghi ammetteva candidamente che l’Italia fosse il paese “più esposto” alle sanzioni che riguardano il mercato energetico russo.
Ma i limiti dell’azione europea non si fermano alle sanzioni: in questi anni l’Unione europea ha condotto una politica estera spesso molto impacciata, e sempre concentrata solo su obiettivi immediati. Il risultato è una grande forza economica fortemente dipendente da stati in profondo conflitto storico, ma che non ha l’autorevolezza di imporre la propria “agenda” ai partner. Quando Putin dice che le rassicurazioni europee sull’ingresso dell’Ucraina nella NATO non hanno valore, intende dire anche questo. In realtà, se ne era parlato molto animatamente anche in Europa, quando la presidenza Trump aveva preoccupato Macron in primis. Con Biden i rapporti tra Stati Uniti e Unione europea si sono rasserenati, ma nei fatti la situazione è cambiata solo parzialmente: l’Ue non ha gli strumenti per agire in ambito di politica estera quando i suoi interessi non sono perfettamente sovrapponibili con quelli di Washington, né per limitare le ambizioni di Mosca. Nelle scorse settimane è cresciuta la tensione tra Germania e Stati Uniti , e dall’altra parte l’impegno diplomatico verso Mosca sembra non essere servito a niente, nonostante i toni estremamente asciutti della diplomazia tedesca.
Di mezzo, ovviamente, ci va l’Ucraina. Il presidente ucraino Zelenskyj ha parlato alla nazione dopo essersi confrontato con Biden e con il proprio Consiglio di sicurezza: ha dichiarato che il suo paese resta impegnato per la pace e la diplomazia, che “non ha paura” delle azioni russe, e che si aspetta azioni “chiare ed efficaci” da parte dei propri alleati. Zelenskyj ha anche chiesto un summit di emergenza in formato Normandia — alla presenza di Russia, Germania e Francia. Questa mattina il ministro della Difesa ucraino ha dichiarato che il paese è “pronto e capace” di difendersi in caso di un’ulteriore invasione, mentre il ministero degli Affari esteri ha pubblicato una nota in cui si legge che la decisione russa “non ha basi legali” e costituisce una “grave escalation.” Alle Nazioni Unite, l’ambasciatore ucraino Sergіj Kislicja ha chiesto il ritiro delle truppe russe.