foto: Liberi fino alla fine / via Facebook
Nonostante la bocciatura della Corte costituzionale, il successo della campagna referendaria per l’eutanasia legale dimostra che si tratta di una forte esigenza sociale. Che il parlamento non può ignorare o liquidare con un compromesso al ribasso
La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia legale. La sentenza completa sarà pubblicata nei prossimi giorni, ma intanto l’ufficio stampa della Consulta ha diffuso un comunicato stampa in cui vengono riassunte le motivazioni: secondo la Corte, con l’abrogazione “ancorché parziale” della norma sull’omicidio del consenziente “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili.” Marco Cappato, tra i principali promotori, ha parlato di “una brutta notizia per coloro che subiscono e dovranno subire ancora più a lungo sofferenze insopportabili contro la loro volontà,” aggiungendo che saranno percorse altre strade come “disobbedienza civile e ricorsi.”
Già da anni migliaia di pazienti ricorrono in maniera silenziosa all’eutanasia, con il supporto di medici che decidono di rischiare la propria carriera pur di assistere alla loro volontà. Una ricerca dell’Istituto Mario Negri del 2007 ha evidenziato che ogni anno circa 20mila malati ottengono la “desistenza terapeutica,” ovvero la sospensione dei trattamenti. Il primario dell’ospedale Gemelli, Mario Sabatelli, ha però deciso di mettere in luce il fenomeno dell’eutanasia clandestina. “Mi assicuro che venga seguita la loro volontà e che non soffrano,” ha dichiarato, “Sono stati sedati profondamente, e solo a quel punto è stata spenta la macchina che soffiava aria nei loro polmoni. Sono morti senza dolore, dormendo.” Il referendum chiedeva quindi la mera normalizzazione di una pratica che è già in atto da anni — e che così avrebbe potuto essere svolta in piena sicurezza.
La nota informativa Istat del 2017 “Malattie fisiche e mentali: un’analisi sulle cause multiple di morte“, afferma che su 12.877 suicidi, registrati tra il 2011 e il 2013, nel 19% dei casi (2.401) sono presenti sul certificato di morte uno o più stati morbosi associati (malattie fisiche o mentali). In 737 decessi per suicidio è certificata la presenza di malattie fisiche rilevanti (tra questi, 299 erano associati ad un tumore). Analizzando le associazioni tra le malattie sono stati individuati 288 casi in cui oltre alla malattia fisica si aggiunge la compresenza di una malattia mentale (principalmente depressione). Lo studio prende in esame tutti i casi di suicidio nel triennio 2011-2013. Per ciascun certificato di morte sono state individuate le entità morbose che forniscono indicazione della presenza di una malattia importante (fisica o mentale).
Il referendum aveva raccolto 1,2 milioni di firme — più del doppio del necessario — e proponeva di abrogare una parte dell’articolo 579 del codice penale, che punisce l’omicidio di una persona consenziente: un modo per rendere legale di fatto l’eutanasia attraverso lo strumento limitato del referendum, che nel nostro ordinamento può essere solo abrogativo. La proposta di abolire una parte delle norme sull’omicidio, in assenza di una cornice legale coerente sull’eutanasia, aveva fatto sollevare alcune critiche, non soltanto da parte del conservatorismo cattolico. Luigi Testa, ricercatore di diritto pubblico all’Università dell’Insubria, aveva scritto a luglio sul proprio blog sul Fatto Quotidiano che l’inammissibilità del referendum sarebbe stata probabile, perché l’abolizione di una parte dell’art. 579 non avrebbe garantito i “delicati bilanciamenti” auspicati dalla stessa Corte nel 2019.
È stata proprio una sentenza della Consulta nel 2019, infatti, ad aprire un nuovo percorso legale per l’eutanasia, con la dichiarazione di incostituzionalità di una parte delle norme sull’istigazione al suicidio. Al momento infatti c’è un disegno di legge che si sta faticosamente facendo largo in Parlamento, ma che — se pure dovesse vincere l’opposizione compatta del centrodestra ed essere approvato — rappresenta un compromesso al ribasso sull’eutanasia, con numerosi paletti che, a partire dall’obiezione di coscienza, renderebbero impossibile la sua applicazione in molti casi.
Le reazioni politiche alla decisione della Corte non si sono fatte attendere: Meloni l’ha definita “sacrosanta,” Gelmini “di buonsenso,” mentre Pd e M5S — per voce di Letta e Conte — hanno rilanciato l’importanza del ddl in discussione in Parlamento. Salvini invece si è detto “dispiaciuto” perchè “la bocciatura di un referendum non è mai una buona notizia.” Il leader del Carroccio è infatti in corsa per l’approvazione di sei referendum sulla giustizia e teme che la decisione della Corte possa incidere sul raggiungimento del quorum.
Nonostante la sua evidente popolarità nell’opinione pubblica — come dimostra il numero enorme di firme raccolte — questa battaglia resta di fatto in mano soltanto ai radicali: “I vertici dei partiti sono stati zitti, sperando che la Corte costituzionale togliesse le castagne dal fuoco. Da destra a sinistra, e soprattutto a sinistra, non hanno speso una parola sul referendum,” ha commentato Cappato. “Spero che ora siano in grado di dimostrare di saper fare non una qualunque legge, ma una buona legge. Perché la proposta di legge a prima firma Pd-M5S peggiorerebbe e restringerebbe le libertà che ci sono fino adesso.” Si è espressa a riguardo anche Mina Welby, che continua a lottare dopo la scelta di suo marito: “Sto pensando a cosa poter fare, vorrei portare avanti l’eredità di mio marito perché era lui che voleva una buona legge sul fine vita. Ora voglio far pressione sui parlamentari perché la legge su cui stanno lavorando diventi una buona legge.”