Le frodi sulle ristrutturazioni hanno creato una vera bolla edilizia, con un investimento sproporzionato del governo da 33 miliardi di euro. Oltre al rischio riciclaggio e false ristrutturazioni, senza vincoli di reddito il bonus ha favorito solo i più ricchi.
A un anno e mezzo dalla sua introduzione, la consapevolezza che il Superbonus 110% abbia favorito una quantità enorme di frodi si è ormai diffusa a tutti i livelli: ci sono diverse inchieste giudiziarie e giornalistiche, le dichiarazioni del direttore dell’Agenzia delle Entrate — che parla di 4,4 miliardi di crediti inesistenti — e le parole del ministro Franco, che pochi giorni fa ha parlato di “truffe tra le più grandi che la repubblica abbia mai visto.” Ieri si è aggiunto al coro anche il ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti, secondo cui il Superbonus sta “drogando” l’edilizia, un settore in cui l’offerta di imprese e manodopera è limitata: invece di investire nella “rivoluzione digitale” e intervenire nel settore dell’automotive in forte crisi, argomenta Giorgetti, “diamo soldi ai miliardari per ristrutturare le loro quinte case delle vacanze. Ride tutto il mondo.”
Come funziona il Superbonus
Ripassiamo le regole: il Superbonus è un meccanismo che permette ai proprietari di immobili di ricevere un rimborso del 110% — quindi superiore all’importo realmente speso — per i lavori di ristrutturazione che rispettano alcuni precisi vincoli e requisiti, a partire dal “salto” di almeno due classi energetiche: se la casa che sto ristrutturando è in classe F, alla fine dei lavori dovrà essere certificata almeno in classe D, altrimenti niente rimborso. Gli interventi che permettono di accedere all’incentivo sono due: la sostituzione della caldaia e l’isolamento termico dell’involucro, in altre parole il “cappotto termico.” A questi, però, possono essere aggiunti “a traino” anche altri lavori che altrimenti non potrebbero godere dello stesso incentivo: se cambio la caldaia o metto il cappotto termico, posso rifare i serramenti o installare i pannelli solari sul tetto, e sarà tutto agevolato al 110% entro certi limiti di spesa fissati dalla legge.
Gli incentivi fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici non sono una novità: le prime agevolazioni per le ristrutturazioni risalgono addirittura agli anni Ottanta, e sono state di anno in anno prorogate e potenziate, con l’obiettivo di ridurre i consumi e le emissioni del parco edilizio esistente — che in Italia è particolarmente obsoleto ed energivoro: la maggior parte delle abitazioni è stata costruita prima degli anni ’70, quando praticamente non esistevano norme sull’efficienza energetica, e quasi il 60% delle case attualmente censite si trova nelle due classi energetiche più basse, F e G.
La novità del Superbonus, oltre all’aliquota “sproporzionata” rispetto agli incentivi precedenti — che andavano tra il 50% e il 65% — sta nella possibilità di cedere i crediti fiscali acquisiti. La norma è stata introdotta per rendere l’incentivo più appetibile sia per i proprietari, sia per le imprese che fanno i lavori. Per farla breve: normalmente il proprietario dell’immobile recupera l’importo che gli spetta sotto forma di sconto dall’Irpef, attraverso la dichiarazione dei redditi (per questo tutti i bonus edilizi si traducono in un minor gettito fiscale per lo Stato). Se in precedenza il tempo di recupero era fissato in 10 anni, con il Superbonus è stato ridotto a 5 anni. In alternativa, però, il proprietario può decidere di farsi anticipare i soldi dei lavori direttamente dall’impresa che li svolge — con uno sconto in fattura — o da una banca, che “acquista” il credito fiscale che poi riscuoterà dallo stato.
Questo meccanismo è stato esteso anche agli altri bonus edilizi già esistenti, che permettono di accedere a rimborsi meno sostanziosi ma con molti meno requisiti, come il semplice “bonus ristrutturazioni” — riconosciuto al 50% per qualsiasi intervento di manutenzione straordinaria — o il “bonus facciate,” che fino all’anno scorso aveva un’aliquota al 90%, ora abbassata al 60% con l’ultima legge di bilancio.
“Le frodi più grandi della storia della repubblica”
Non era difficile immaginare che la facilità della cessione del credito avrebbe favorito le truffe, e creato un mercato secondario dei crediti fiscali con tutte le caratteristiche di una bolla speculativa, non tanto diversa dai mutui subprime all’origine della crisi finanziaria del 2007-2008. Fino a poco tempo fa, infatti, i crediti fiscali potevano essere ceduti indefinitamente: io proprietario faccio i lavori, cedo il mio credito del 110% all’impresa che li ha fatti, incasso un po’ meno (magari il 100% o il 95%), ma intanto non devo preoccuparmi di aspettare cinque anni con la dichiarazione dei redditi; l’impresa a sua volta vende il credito a una banca, che a quel punto può trattare questo credito come una moneta secondaria, da vendere o cedere ulteriormente. Se sto cercando di truffare lo stato, posso cedere crediti per lavori mai fatti, o gonfiare le fatture e incassare lo stesso i rimborsi. Le intercettazioni emerse da un’inchiesta di pochi giorni fa fanno capire quanto fosse facile: “Lo stato italiano è pazzesco — dice uno degli imprenditori — vogliono essere inculati praticamente.”
Per questo pochi giorni fa nel decreto “Sostegni ter” è stata inserita una norma che permette una sola cessione del credito, impedendo le cessioni “a catena.” Questo nuovo cambio di regole in corsa ha causato però una rivolta nel mondo dell’edilizia, che sta chiedendo a gran voce al governo un intervento correttivo. Dal loro punto di vista, la richiesta è sensata: senza la certezza di poter cedere i crediti a banche o istituti finanziari — ora quasi tutti hanno chiuso le piattaforme per la gestione di queste operazioni, a partire da Poste Italiane — fare i lavori offrendo lo sconto in fattura diventa possibile solo per pochissimi grandi attori del mercato con sufficienti disponibilità liquide. Al momento, denunciano le associazioni dei costruttori, i cantieri sono praticamente bloccati. L’intervento correttivo potrebbe prendere la forma di un “bollino anti-truffa” ovvero un codice identificativo di ogni operazione di cessione del credito per permettere di risalire al primo titolare, limitando a tre volte il numero massimo di cessioni del credito, e solo a soggetti “vigilati” dalla Banca d’Italia.
La questione agita gli animi all’interno della maggioranza di governo: il Superbonus è stato voluto soprattutto dal Movimento 5 Stelle, che ora non sta apprezzando tutta questa enfasi sulle frodi e accusa la Lega di volerlo “affossare.” Secondo il ministro Patuanelli, la maggior parte delle frodi non riguarda il Superbonus 110% ma il bonus facciate mentre secondo l’ex sottosegretario Riccardo Fraccaro Mario Draghi ha detto “una grande bugia.”
Lo scontro si trasferirà in Parlamento, dove sono in discussione sia il decreto “milleproroghe,” sia il “sostegni ter.” Non sarebbe la prima volta che governo e Parlamento danno orientamenti contrastanti sui bonus edilizi: l’esecutivo di Mario Draghi aveva già provato a porre un freno alla “febbre da Superbonus” con la Legge di Bilancio, limitando la proroga soltanto ai condomìni e imponendo un vincolo di reddito ai proprietari degli edifici unifamiliari. Questi vincoli sono però saltati nella discussione parlamentare, sotto le fortissime pressioni delle lobby dell’edilizia, che ormai si reggono in piedi su questi incentivi. Allo stesso modo, un decreto “anti-frode” era già stato varato nel novembre 2021, imponendo l’asseverazione e il visto di conformità — in pratica, due documenti che assicurano sulla correttezza delle operazioni — su tutte le operazioni di cessione del credito. Anche questa norma è stata annacquata nella legge di Bilancio: ora il visto di conformità e l’asseverazione sono obbligatorie solo sui lavori con importo superiore a 10 mila euro.
Un regalo ai più ricchi
Il problema, evidentemente, è più ampio delle singole frodi, e riguarda lo strumento dei bonus edilizi in sé. In assenza di vincoli sul reddito o sulle prime case — come aveva timidamente provato a fare il governo Draghi con la prima versione della Legge di Bilancio — gli incentivi per le ristrutturazioni rischiano di essere soprattutto un gigantesco trasferimento di reddito verso le fasce più ricche della popolazione. “Anche con la possibilità di cedere i crediti, infatti, si tratta di lavori onerosi e difficili da intraprendere, specialmente nei condomìni — che sono quelli che ne avrebbero più bisogno, dato che contribuiscono in maniera determinante ai consumi e alle emissioni. Per forza di cose, quindi, se ne avvantaggiano soprattutto i ceti più abbienti, confermando uno schema già in atto con i precedenti bonus, con una concentrazione degli interventi nelle categorie catastali più elevate.
I dati del monitoraggio Enea parlano chiaro: al 31 gennaio risultavano circa 107.500 interventi agevolati con il Superbonus. Di questi, solo 16.348 riguardano edifici condominiali. In Italia, i condomìni sono circa il 10% delle abitazioni esistenti, ma al loro interno abita circa il 60% della popolazione. Per farla breve: lo stato sta spendendo una quantità enorme di denaro — in totale le risorse stanziate ammontano a 33 miliardi — per ristrutturare villette e villini di proprietari che, molto probabilmente, potrebbero permettersi di pagare i lavori anche senza intervento statale, quando va bene. Quando va male, abbiamo messo in mano a imprese truffaldine una possibilità comodissima per riciclare denaro o accumulare soldi cedendo crediti inesistenti o gonfiati.