Guantánamo: vent’anni di cancellazione dei diritti

Nell’indifferenza generale della politica statunitense e internazionale — con poche eccezioni — oggi si celebrano i 20 anni dall’arrivo dei primi detenuti afgani nel famigerato carcere dove le torture e i soprusi erano, e restano, la quotidianità

Guantánamo: vent’anni di cancellazione dei diritti

Nell’indifferenza generale della politica statunitense e internazionale — con poche eccezioni — oggi si celebrano i 20 anni dall’arrivo dei primi detenuti afgani nel famigerato carcere dove le torture e i soprusi erano, e restano, la quotidianità

L’11 gennaio 2002 arrivano a Guantánamo i primi venti detenuti afgani. Oggi, l’anniversario dei vent’anni di apertura del centro di detenzione di Guantánamo sta passando in sordina. Nonostante nell’opinione pubblica sembri uno scandalo relegato al passato, nel centro sono rinchiusi ancora 39 “nemici combattenti” — ovvero prigionieri di guerra. L’amministrazione Biden sta valutando di costruire nella baia una seconda aula di tribunale militare, per snellire le procedure e poter condurre più di un processo parallelamente.

Guantánamo è stata aperta l’11 gennaio 2002, sulla scia della politica intrusiva di Bush con perno nel Patriot Act dopo l’attacco alle Torri Gemelle. La legge federale rinforzava i corpi di polizia e di spionaggio, intaccava il diritto alla privacy e permetteva arresti senza base giuridica. Negli anni sono state molte le indagini e le rivelazioni che ci hanno permesso di capire cosa stesse succedendo all’interno della struttura — da una prima, fondamentale, inchiesta di Amnesty International passando per la pubblicazione di documenti segretati da parte di WikiLeaks. Negli anni, il centro di detenzione è diventato così sede di una perpetua violazione dei diritti, che continua ancora oggi: infatti, a differenza del caso di Abu Ghraib, dove la prigione è stata chiusa, anche se non si è fatta giustizia, finora nessuno dei due partiti di governo statunitensi sembrano essere intenzionati a mettere fine agli abusi.

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In copertina, foto Shane T. McCoy, marina statunitense. Via Wikimedia Commons