La scuola viene mandata al macello pur di non chiudere nulla
Per tenere aperte le scuole bisognava limitare la diffusione del virus a dicembre: ora le nuove regole del governo sono superate dalla realtà dei fatti, e a pagarne le conseguenze saranno gli studenti e le famiglie
Per tenere aperte le scuole bisognava limitare la diffusione del virus a dicembre: ora le nuove regole del governo sono superate dalla realtà dei fatti, e a pagarne le conseguenze saranno gli studenti e le famiglie
Il dibattito di questi giorni sulla riapertura delle scuole ha del surreale. Innanzitutto perché si svolge a una manciata di giorni dalla riapertura ufficiale — in molte regioni, anzi, gli studenti sono tornati sui banchi già ieri. Ma soprattutto perché siamo di fronte a una situazione epidemica prevedibile e prevista già a metà dicembre, che quindi avrebbe permesso una programmazione più ordinata del rientro dalle vacanze natalizie.
Invece sappiamo com’è andata. Il governo ha preferito “aspettare i dati” anche quando i dati erano già ampiamente disponibili, temporeggiando fino a fine dicembre per emanare due decreti nell’arco di una settimana – il 23 e il 29 dicembre – e poi l’ultimo, pasticciato, decreto sull’obbligo vaccinale per gli over 50: approvato nel Consiglio dei ministri di mercoledì 5 gennaio ma pubblicato in Gazzetta Ufficiale soltanto nella notte tra venerdì 7 e sabato 8, dopo diverse modifiche e riscritture.
In nessuno dei tre decreti si parla di scuola. Le uniche misure pensate per arginare la diffusione dei contagi sono l’obbligo delle mascherine all’aperto, l’obbligo di indossare mascherine FFP2 in alcuni ambienti al chiuso e la chiusura, almeno formale, delle discoteche. Misure tardive — in Germania, ad esempio, le mascherine FFP2 sono obbligatorie al chiuso già da un anno — e soprattutto molto timide, di fronte a una variante che si diffonde con una facilità e una velocità mai viste prima. Specialmente se abbinate a misure che sembrano fatte apposta per facilitare la sua diffusione, come l’abolizione della quarantena per i contatti stretti dei soggetti positivi e la validità dei tamponi antigenici per accertare la negativizzazione — nonostante gli studi che dimostrano la scarsa affidabilità dei test rapidi nell’individuare Omicron.
Puntare unicamente sull’espansione della copertura vaccinale — riducendo la durata del green pass, ampliando l’ambito di applicazione del pass “rafforzato” e, da ultimo, sperando di ridurre la platea degli over 50 non vaccinati a colpi di sanzioni una tantum di 100 euro — è una strategia insufficiente a questo punto della quarta ondata. Se anche funzionasse alla perfezione e tutte le persone che possono vaccinarsi si vaccinassero domani, non avrebbero una copertura sufficiente di fronte a Omicron prima di circa cinque mesi — dato che è solo la dose booster ad assicurare una protezione adeguata, secondo i dati attuali. Senza contare, ovviamente, che la popolazione vaccinabile non coincide con il 100% della popolazione: i reparti pediatrici degli ospedali in questi giorni si stanno riempiendo di bambini, molti dei quali sotto i 5 anni e quindi non vaccinabili.
Il risultato di questa strategia fallimentare è sotto gli occhi di tutti: il sistema sanitario è di nuovo in crisi, tra code di ambulanze, ospedali da campo montati in fretta e furia, operazioni e ricoveri rinviati a data da destinarsi per fare posto ai pazienti Covid. Il virus dilaga in maniera incontrollata, sfuggendo a un sistema di test ormai arrivato a saturazione, spingendo in alto la curva dei ricoveri e dei decessi: per quanto possa essere meno severa la variante Omicron, e nonostante la copertura dei vaccini, il numero enorme di infezioni è capace di portare al collasso il sistema sanitario anche se soltanto una piccola percentuale dei contagi si traduce in ospedalizzazioni. È quello che sta succedendo in questi giorni.
In questo contesto, studenti e docenti si preparano a tornare sui banchi di scuola con l’impressione di andare al macello. Secondo le nuove, farraginose regole sulle quarantene, nelle scuole dell’infanzia basterà un caso positivo per sospendere l’attività per dieci giorni; nelle primarie, la DAD scatta in presenza di due casi positivi, mentre dopo un solo caso positivo tutti gli alunni della classe dovranno essere testati; nelle secondarie, nessuna campagna di test: un caso positivo farà scattare una semplice “auto-sorveglianza”, qualsiasi cosa significhi, e l’uso delle FFP2 (che altrimenti non è obbligatorio), due casi positivi manderanno in Dad solo gli alunni non vaccinati o senza booster, tre casi positivi l’intera classe.
EDIT 16 pm: i ministeri dell’Istruzione e della Salute hanno diffuso una circolare per chiarire il funzionamento delle quarantene differenziate per classe d’età, specificando che il regime di autosorveglianza prevede l’effettuazione di tamponi per i contatti dei casi positivi. Gli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado potranno effettuare i test antigenici gratuitamente.
Queste regole sono già superate dalla realtà dei fatti. Molte scuole riapriranno lunedì con molti alunni già in didattica a distanza perché risultati positivi durante le vacanze, senza contare i numerosi positivi tra docenti e personale scolastico. Numeri che sono inevitabilmente destinati a salire data l’enorme diffusione di Omicron, che troverà nella scuola un sicuro moltiplicatore. Per questo più di duemila presidi hanno firmato una petizione per chiedere al governo di rimandare di due settimane il ritorno sui banchi; si sono uniti alla richiesta anche docenti, personale ATA e genitori, mentre la regione Campania ha approvato un’ordinanza che prevede lo stop alle attività in presenza per scuole dell’infanzia, primarie e medie.
Il governo però ha annunciato che impugnerà l’ordinanza del governatore De Luca, e dalle pagine del Corriere della Sera il ministro dell’Istruzione Bianchi insiste nel dire che le scuole riapriranno regolarmente il 10 gennaio — come se bastasse affermarlo per tradurlo nella realtà. Qualcuno colpevolizza docenti e dirigenti scolastici, accusandoli di chiedere la Dad un po’ come vengono velatamente accusati di essere “fannulloni” i lavoratori che chiedono lo smart working. Il discorso però andrebbe spostato dalla scuola e allargato alle altre attività economiche in cui si è preferito non fare nulla mentre l’ondata di Omicron si stava ingrossando.
Dopo due anni con la didattica a singhiozzo, nelle comunità scolastiche nessuno preferisce la Dad, e nessuno la chiede a cuor leggero: il suo impatto negativo sullo sviluppo e sulla crescita degli studenti, specialmente nelle fasce d’età più basse e nelle famiglie in condizioni economiche più difficili, è ormai molto chiaro. Ed è quindi sacrosanto affermare, come fa il ministro Bianchi, che le scuole “se fosse necessario devono essere le ultime a chiudere.” Il punto è proprio questo: pur di non stanziare altri “costosi ristori” — parole del ministro Brunetta — il governo non ha voluto chiudere nulla a dicembre. Lo shopping natalizio è stato protetto con cura: nessuna limitazione nella capienza dei negozi (ricordate? un tempo era obbligatoria anche la misurazione della febbre all’ingresso, oggi niente), dei mezzi pubblici, di cinema, teatri e concerti; nessuna chiusura, anche parziale, per bar e ristoranti, alberghi, impianti sciistici. Nessun tentativo di intervenire sugli spazi di aggregazione in cui il virus ha potuto moltiplicarsi e circolare con enorme facilità — come se l’alternativa fosse soltanto “lockdown o niente.”
— Leggi anche: Lo stato di agitazione della scuola italiana è destinato a continuare
Per tenere aperto tutto e “salvare il Natale,” le scuole chiuderanno. E non chiuderanno perché lo decide il governo, che così non sarà costretto a metterci la faccia, ma perché i casi aumenteranno ancora, prima del picco previsto, forse, per fine gennaio. Nelle scuole che hanno riaperto tra ieri e oggi si può già vedere la situazione di caos che riguarderà gli istituti di tutta Italia tra pochi giorni: mezze classi in didattica a distanza, organici falcidiati, sindaci che decidono autonomamente di rimandare l’inizio delle lezioni per almeno cinque giorni, scavalcando le regioni e il ministero.
In tutto questo, il congedo parentale straordinario per Covid non è stato rinnovato: la misura, scaduta il 31 dicembre 2021, riconosceva al genitore di un figlio minore di 14 anni la possibilità di assentarsi in tutto o in parte dal lavoro durante la sospensione dell’attività didattica in presenza del figlio. Ora che il numero di alunni in Dad è destinato ad aumentare esponenzialmente — senza contare le scuole dell’infanzia, dove basterà un caso positivo per arrivare a una sospensione di 10 giorni — il mancato rinnovo del congedo parentale sarà un problema enorme per le famiglie e penalizzerà ulteriormente le donne madri lavoratrici. Ma tutto okay: l’importante è salvaguardare l’economia e ripetere che le scuole resteranno aperte.
In copertina: il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi durante una conferenza stampa lo scorso 7 ottobre 2021 / via Palazzo Chigi.
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