Il dibattito sul nucleare è solo fumo negli occhi
I problemi del nucleare sono già noti, eppure l’Ue sta provando a includerlo tra le energie pulite. Ma oltre alla sua pericolosità, il nucleare rischia anche di rallentare il percorso verso le energie davvero sostenibili
in copertina, foto di jplenio / Pixabay
I problemi del nucleare sono già noti, eppure l’Ue sta provando a includerlo tra le energie pulite. Ma oltre alla sua pericolosità, il nucleare rischia anche di rallentare il percorso verso le energie davvero sostenibili
La tassonomia è semplicemente una lista. Questa lista classifica il tipo di attività economiche considerabili green, quindi meritevoli di ricevere investimenti. Pubblicata in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 22 giugno 2020, è entrata in vigore il 12 luglio 2020. Ecco: in questa lista di attività sostenibili la Commissione europea ha scelto di inserire il gas naturale e l’energia nucleare. La decisione, presa alle 22 del 31 dicembre, non è definitiva: prima di entrare in vigore, dovrà passare per il Parlamento europeo e per il Consiglio dell’UE. Ma è solo quest’ultimo che ha la facoltà di bloccarla con una maggioranza qualificata.
L’Italia probabilmente non sarà tra gli Stati che si opporranno alla tassonomia. Il dibattito, in particolare sul nucleare, è tornato a interessare l’opinione pubblica. “È solo distrazione di massa,” sostiene il direttore scientifico del Kyoto Club, Gianni Silvestrini. “Ammesso che l’Italia abbia voglia di tornare al discorso del nucleare, tra le varie cose metterebbe in funzione un reattore ottimisticamente nel 2035, realisticamente nel 2040. È una soluzione fuori fase rispetto ai tempi della transizione energetica ed ecologica.” Le italiane e gli italiani si sono già opposti al nucleare col referendum del 1987 e hanno ribadito la propria contrarietà nel 2011. Inoltre, con buona pace di Matteo Salvini, che in un tweet ha subito cercato di cavalcare l’onda, nel nostro Paese non esiste la formula del referendum propositivo.
In Europa però ognuno tira acqua al proprio mulino. A guidare il fronte del sì, soprattutto con riferimento al nucleare, è la Francia; al suo fianco ci sono Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Romania. “La Francia ha fatto un po’ la voce grossa,” dice ancora Silvestrini. “Macron ha detto che il nucleare civile si tiene solo se c’è il nucleare militare, e viceversa. La Francia è l’unico Paese europeo ad avere la bomba atomica.” Nonostante questo, diversi Paesi si sono opposti. Il no più deciso è arrivato dall’Austria, che ha minacciato un ricorso alla Corte di giustizia dell’Ue se la bozza dovesse passare, e dalla Spagna. La Germania, che ha recentemente chiuso tre delle sei centrali nucleari in servizio e prevede di fare lo stesso con le rimanenti entro il 2022, sembrava contraria. Ma le cose sono già cambiate: Berlino non vuole un braccio di ferro con Parigi proprio mentre quest’ultima ha iniziato il suo semestre alla guida del Consiglio.
La sicurezza
Se si leggono alcuni dati, inserire l’energia nucleare all’interno delle fonti green potrebbe non sembrare una bestemmia. Stando al rapporto del 2014 dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) l’energia nucleare risulta tra le fonti che mediamente producono meno grammi di CO2/kWh: sono 12, come l’eolico, a fronte degli 820 del carbone e dei 24 dell’energia idroelettrica. Ma questo dato tiene conto soltanto della produzione di energia in senso stretto: non dobbiamo dimenticare che le centrali nucleari necessitano di enormi quantità di cemento armato. Sono 2,8 miliardi le tonnellate di CO2 rilasciate ogni anno dall’industria del cemento nell’atmosfera. “L’ambiente va visto nella sua totalità,” dice Mariagrazia Midulla, responsabile per il Clima e l’Energia di WWF Italia. “Gli studi fatti prima dell’abbandono del nucleare in Italia, per esempio a Borgo Sabotino (Latina), dimostravano mutazioni preoccupanti nel bestiame. Inoltre esistono studi in medicina sugli effetti delle radiazioni a bassa intensità: stiamo parlando di tecnologie rischiose non solo per le persone, ma per tutto l’ambiente. Il nucleare provoca incidenti gravissimi.”
Il più recente è quello di Fukushima del 2011, avvenuto a causa di un terremoto e del conseguente tsunami che ha travolto la centrale nucleare. Stando al report del 2018 del governo giapponese, però, solo una persona è morta di cancro a seguito delle conseguenze dell’esposizione alle scorie nucleari. Questo confermerebbe come l’energia nucleare sia tra quelle che hanno il numero più basso di morti per terawattora di energia prodotta (0,07). Per fare un paragone, il carbone “marrone”, la lignite, ne provoca 32,72. Ma la sicurezza del nucleare dipende anche dal contesto in cui viene prodotto: l’Italia ha regole meno stringenti rispetto al Giappone sulla sicurezza delle costruzioni e delle persone, nonostante condizioni ambientali per alcuni versi simili.
“L’Italia è uno dei Paesi a maggior rischio idrogeologico e sismico d’Europa,” sottolinea il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini, “in teoria si potrebbero trovare posti dove costruire una centrale. Rimane il problema del costo di realizzazione di questi impianti. Anche l’Amministratore Delegato di Enel ha detto che il nucleare è una tecnologia morta, nello scenario della transizione ecologica e con la concorrenza che hanno le rinnovabili.”
I costi del nucleare
Oltre al tema ambientale, è necessario affrontare anche le spese per l’energia nucleare. “I reattori nuovi hanno un costo triplicato, quadruplicato rispetto a quelli previsti inizialmente” dice Silvestrini, “e nemmeno quelli che già esistono riescono a competere con le energie rinnovabili e con il gas.” Due casi sono esemplificativi. Il reattore nucleare OL3, della centrale finlandese di Olkiluoto, è stato finito con 12 anni di ritardo ed è costato 3 volte tanto rispetto ai 3 miliardi di euro previsti. In Francia, invece, il reattore commissionato per la centrale di Flamanville è ancora da terminare: ci vorranno 17 anni, rispetto ai 13 inizialmente previsti. Non basta nemmeno ragionare su un’economia di scala, secondo Silvestrini: “I reattori sono stati fatti sempre più grandi perché aumentando la taglia si riduce il costo unitario. Adesso si punta a farli più piccoli, ma un reattore del genere ha un prezzo maggiore. Pensano di ridurre i costi facendo in scala centinaia, migliaia di reattori. Ma è pura ipotesi.”
Secondo le previsioni del ministro Roberto Cingolani, l’Italia avrà il 72% di rinnovabili nel 2030. Spendendo molto meno. “Il tema è quello dell’ultimo miglio,” dice ancora Silvestrini: “Quando ho una quantità elevata di rinnovabili intermittenti come faccio a garantire la continuità con accumuli stagionali? È un problema che si stanno ponendo in molti. Ci sono realtà che puntano al 100% di rinnovabili, tipo la California. Nello Utah stanno progettando delle soluzioni che garantiscano accumuli di lunga durata.”
Ma non è solo l’impatto macroeconomico a dover essere considerato. Secondo il World Nuclear Industry Status Report, nel 2020 produrre 1 kWh di elettricità con il fotovoltaico è costato in media 3,7 centesimi di dollaro, con l’eolico 4 centesimi. Con il nucleare molto di più: 16,3 centesimi.
Lo smaltimento delle scorie
La Commissione ha imposto alcuni paletti nella tassonomia. Per ricevere investimenti, i progetti nucleari che hanno un permesso di costruzione rilasciato entro il 2045 devono prevedere piani per la gestione delle scorie radioattive e per il decommissioning — lo smantellamento delle centrali. In pratica, una mezza utopia. “La Francia ha detto che nel 2035 avrà il suo giacimento di scorie, ma l’esperienza ci dice che i Paesi andati in quella direzione hanno sbattuto la testa contro il muro,” spiega Silvestrini. “Gli Stati Uniti già vent’anni fa dovevano realizzare il deposito di scorie dello Yucca mountain: a causa di complicazioni hanno fermato tutto. Al momento le accumulano presso le centrali e il governo paga una quota affinché questo accada. È una tecnologia che c’è da 50 anni e ancora non è stato affrontato il problema delle scorie che rimarranno centinaia di migliaia di anni.”
I governi e gli esperti, di cui fanno parte anche le associazioni ambientaliste come WWF, avranno solo fino al 12 gennaio per valutare la tassonomia proposta. Nel frattempo idee alternative all’inclusione del nucleare nella tassonomia sono state fatte: “La Spagna sostiene che le tecnologie legate al gas fossile e al nucleare non siano verdi, ma possano essere considerate diverse da quelle estremamente inquinanti. Per questo ha proposto di inserirle in una nuova categoria chiamata ‘Ambra’” spiega Midulla. Mettere il bollino verde anche a nucleare e gas sminuirebbe il valore della tassonomia e, forse, spingerebbe gli investitori a scegliere questa energia rispetto alle rinnovabili.
“Il nucleare potrà essere considerato green quando sarà risolto il problema delle scorie,” dice Zanchini. “Un’energia è rinnovabile quando ha un ciclo che si chiude, senza impatti se non quelli legati alla costruzione degli impianti. Chiamare green una fonte che ha ancora problemi di questo tipo è una contraddizione in termini. Il dibattito ha solo lo scopo di rallentare la transizione verso eolico e solare da parte di chi vende carbone e gas e vuole rimandare l’uscita dei loro impianti dalla produzione.”
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