L’assurda odissea di una studentessa in cerca di casa a Bologna

La casa non è più di chi l’abita: tra agenzie immobiliari che speculano, costi di arredamento e stress, la tutela del diritto allo studio non è una priorità delle istituzioni

L’assurda odissea di una studentessa in cerca di casa a Bologna

Una studentessa portoghese racconta lo stress vissuto dopo 2 mesi infruttuosi di ricerca di casa a Bologna. Quasi 200 contatti con proprietari sono risultati in soltanto 4 incontri. Prezzi di affitto troppo alti, costi di arredamento e di agenzia sono le condizioni imposte nei pochi alloggi disponibili. La tutela del diritto allo studio per le fasce più deboli non sembra essere più una priorità delle istituzioni.

Il mese scorso abbiamo parlato di come abitare e trovare casa a Bologna sia sempre più difficile. Secondo il progetto HousingBo, un laboratorio sulla situazione abitativa studentesca nel capoluogo emiliano, uno studente impiega in media 7 settimane per trovare un alloggio, ma circa il 30% impiega  oltre i due mesi. L’indagine, realizzata nel 2019, stima che il costo medio per una sistemazione sia 380 euro — valore che nel centro storico sale anche a 450 euro. L’università, in tutto questo, non fa nulla per venire incontro alle esigenze dei propri studenti meno abbienti.

Oggi abbiamo deciso di pubblicare la  testimonianza diretta di una studentessa che ha provato a cercare a casa a Bologna, rimanendo bloccata negli ingranaggi della gentrificazione e delle agenzie immobiliari  che abbiamo descritto poco tempo fa. Una situazione che, senza interventi in favore dei meno privilegiati, è destinata a peggiorare.

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Faccio la magistrale a Bologna e cerco casa in questa città da due mesi. Tra contatti senza risposta, offerte improponibili e concorrenza con altri candidati disperati, mi sono ritrovata senza un posto stabile dove abitare nella città dove studio.

Questo racconto non ha la pretesa di tracciare un quadro generale della situazione immobiliare a Bologna, né di come essa si rifletta sui suoi studenti. Il nostro obiettivo è quello di raccontare una storia in prima persona, di rapportare un’esperienza soggettiva, e di estrarne alcune osservazioni.

Ho lasciato la stanza singola dove abitavo l’anno scorso per risparmiare il pagamento dell’affitto nei tre mesi estivi che avrei trascorso in Portogallo — il mio paese, che ho lasciato per venire a studiare qui. A metà settembre sono tornata a Bologna, trasferendomi temporaneamente a casa del mio ragazzo, che in quest’articolo chiamerò Bujar, e ho iniziato a cercare una nuova sistemazione prima dell’inizio del secondo anno della mia magistrale.

Alcuni giorni dopo il mio arrivo, Bujar e le sue coinquiline sono stati informati dal loro proprietario che il contratto non sarebbe stato rinnovato e che quindi avrebbero dovuto lasciare l’immobile entro la fine di novembre. All’improvviso ci siamo ritrovati tutti sulla stessa barca e dal 18 settembre abbiamo unito le forze per cercare alloggio tramite ogni mezzo a nostra disposizione, e a disposizione della maggior parte degli studenti: gruppi Facebook di ricerca casa, piattaforme di annunci, gruppi Whatsapp e Telegram, passa-parola. Abbiamo valutato ogni opzione proposta — singole, posti in doppia, stanze doppie e appartamenti. Risultato: dopo due mesi e tre giorni di ricerca attiva, nessuno di noi è ancora riuscito a trovare un posto dove vivere.

Per chi se lo stia domandando: no, non ho il diritto a un posto alloggio nelle residenze universitarie di Er.go (Azienda Regionale per il Diritto agli Studi Superiori), dal momento che il mio Isee familiare sorpassa la soglia massima ammessa per candidarsi a tale servizio. Ci tengo però a sottolineare che anche i posti alloggio di Er.go hanno un costo non indifferente — Bujar ci è stato nell’anno accademico 2017/2018 e pagava 220€ per un posto in doppia — per non parlare di tutte le restrizioni alle quali è soggetto un beneficiario di alloggio, dai limiti di persone ammesse nella propria casa ai controlli che vengono sporadicamente effettuati all’interno degli appartamenti.

L’angoscia di cercare invano

Nel periodo dal 18 settembre alla data in cui scrivo quest’articolo, il 21 novembre, ho inviato un totale di 198 messaggi a proprietari, inquilini o agenti immobiliari che offrivano posti letto su Facebook, Whatsapp e altre piattaforme. Ho ottenuto solamente 35 risposte, di cui 29 subito negative — o perché le stanze non erano più disponibili, o perché io non corrispondevo a criteri come essere lavoratrici e avere più di 25 anni. Il 16 novembre ho chiesto a Bujar e a una delle sue coinquiline, entrambi studenti di magistrale, quanti contatti avevano raggiunto e che risposte avevano ottenuto. Bujar aveva inviato 113 messaggi, quasi tutti (91) rimasti senza risposta. La sua coinquilina, che chiamerò Moana, tra messaggi e chiamate è arrivata a 180 contatti; ben 141 non hanno avuto risposta, mentre 16 hanno ricevuto risposte negative. Forse è perché io mi presento come studentessa portoghese, Bujar ha nome e cognome albanese e Moana ha un nome esotico — anche se il suo cognome è italiano? Dal tono dei discorsi sui gruppi Facebook dedicati agli affitti, però, la situazione sembra essere disperata per tutti. Sul gruppo Bologna Affitto Studenti o Lavoratori, composto da 76.6 mila membri, negli ultimi 15 giorni sono stati pubblicati 254 post di persone che cercano casa, più del  quadruplo delle 61 offerte visibili sullo stesso feed. Le sette migliori offerte avevano una media di 106 commenti. Su questo gruppo ed altri simili, come Affittasi!!! Offro/cerco casa a BOLOGNA (105.4 milla membri), Bologna in Affitto (60.6 milla membri), Cerco casa in affitto a Bologna (33.3 milla membri), e altri, l’ansia di chi cerca casa traspare, ad esempio, dalle parole dal tono supplichevole:

  • «Sono alla DISPERATA RICERCA di una stanza singola. Sono veramente senza speranze ormai» (03/10)
  • «Frequento il Dams e sono disperata…» (07/10)
  • «Non mi interessa una zona specifica pur di avere un tetto» (08/10)
  • «Salve, sono alla disperata ricerca di un posto letto come tante altre persone » (09/10)
  • «Sono una studentessa di medicina alla disperata ricerca di una stanza» (09/10)
  • «Io e la mia amica siamo due lavoratrici (24 e 25 anni) e stiamo per iniziare a lavorare a Bologna. Siamo abbastanza disperate perché non riusciamo a trovare un alloggio!» (09/10)
  • «Sto disperatamente cercando casa perché fra un mese il padrone ci butterà fuori casa perché l’ha venduta!! Sono un giovane ingeniere meccanico di 27 anni» (10/10)
  • «Cerco disperatamente un posto dove dormire» (03/11)
  • «SE NON TROVO UNA STANZA ENTRO QUESTO MESE RISCHIO DI PERDERE UN’OPPORTUNITA’ LAVORATIVA A BOLOGNA» (15/11);

Altri preferiscono incanalare le difficoltà in un tono ironico:

  • «Dopo settimane di ricerca sono ancora qui a scrivere un nuovo annuncio» (06/10)
  • «Ciao a tutti! Vedo abbastanza disperazione in giro! Io ci provo eh!» (09/10)
  • «Mi sono rotto il cazzo, non si trova ‘na minchia a Bologna, è possibile? Più che pagare in cash, che volete? Che paghi in natura?» (09/10)
  • «Siamo simpatici e disperati, aiutateci» (10/10)
  • «Se non trovo casa entro lunedì, perdo la borsa di studio, che bello» (13/11)
  • «Cerco disperatamente un monolocale. Sennò tra qualche giorno rischio di dormire per strada» (17/11);

Altri ancora si lasciano andare a sfoghi di rabbia:

  • «Cioè ragazzi parlando seriamente non è possibile vedere persone dare stanze solo in cambio dell’anima costringendo molti ragazzi ad abbandonare la vita universitaria, è un po’ triste tutto questo»  (08/11)
  • «Sono qui a sfogarmi più che altro. Non è possibile che mettete annunci e non rispondete mai. Siamo nella totale disperazione e voi neanche rispondete anche mettendo un annuncio da un minuto» (20/11)
  • «Il 90% delle persone a cui scrivo non visualizza neanche il messaggio (tante volte ho scritto neanche a un minuto dalla pubblicazione del post)» (20/11).

Sono consapevole che fare un elenco così lungo di citazioni di post Facebook rischia di appesantire il mio racconto, ma ho deciso di farlo comunque per dare un’idea dell’energia che ho sprecato a leggere questi e mille altri post che si perdono nella marea di informazione delle pagine online di ricerca casa, e della stanchezza — anche mentale — che causa questa ricerca…

Le visite: una partita persa in partenza

Io, il mio ragazzo e le nostre coinquiline siamo riusciti a visitare insieme solo quattro appartamenti. Due, entrambi a circa mezz’ora a piedi da Piazza Maggiore, erano totalmente da arredare a spese nostre. Per uno di essi, composto da tre stanze e un salotto, il prezzo dell’affitto era di 1.565€ e le spese di agenzia per firmare il contratto ammontavano a 340€ a testa. Nell’altro, composto da tre stanze, il prezzo mensile con spese condominiali era di 950€ — ma per firmare il contratto, ognuno di noi avrebbe dovuto pagare 500€ di agenzia, più altri 200€ per inserire i nomi dei propri genitori come garanti (l’alternativa, per eliminare quest’ultima spesa, sarebbe stata includerli nel contratto come fossero inquilini). In entrambi i casi tutti dovevamo presentare le buste paghe dei nostri genitori per comprovare la nostra idoneità a pagare l’affitto. Non li abbiamo bloccati.

La questione dell’arredamento raggiunge livelli ancora più assurdi: ho trovato annunci in cui gli studenti stessi, dovendo lasciare la stanza, stabilivano come condizione di subentro l’acquisto del rispettivo arredo. Mi sono imbattuta personalmente in tre proposte di questo genere: due richiedevano 500€ come prezzo dell’arredo, l’altra 900€. Non le ho accettate.

La richiesta di garanzie, invece, sembra ormai essere la regola perfino nelle stanze più improbabili di Bologna. Personalmente, l’obbligo di presentare a chiunque i redditi dei miei genitori e di chiedere loro di farmi da garanti mi angoscia. Lo sconforto ha raggiunto il suo apice in una conversazione telefonica con un agente immobiliare che, dopo averci detto che i redditi annuali dei nostri genitori non arrivavano al valore minimo richiesto dal proprietario, ci ha chiesto se avessimo amici che potessero farci da garanti. Quando gli abbiamo risposto di no, ha avuto la sfacciataggine di umiliarci dicendo che se nessuno si fidava di noi non sarebbe stato certo lui a farlo.

Sia io che Bujar lavoriamo: lui lavora 4 mesi all’anno, d’inverno e d’estate, in un ristorante, e a Bologna fa delle consegne per Glovo. Io faccio lavori sporadici di traduzione e edizione di testo, lezioni private di portoghese e babysitting. Però, come molti altri, non abbiamo contratti stabili. I lavori che sono a nostra disposizione sono precari e non bastano a farci da garanti. Quando, dopo aver visitato l’ennesima casa, ci viene detto che è necessario presentare anche le buste paghe dei nostri genitori, sappiamo già che abbiamo perso: se per decidere il proprietario di casa si baserà solamente sulle garanzie economiche, è ovvio che ci passeranno sempre avanti quelli che le hanno più alte.

Gli altri due appartamenti che abbiamo visitato in gruppo erano totalmente fuori dai nostri orizzonti in termini di prezzo. Erano case abbastanza lontane dal centro, piccole ma appena ristrutturate e ben arredate — parlerei quasi di lusso — quindi non accessibili a uno studente medio. L’assurdità, però, è che non è più necessario un arredamento lussuoso per affittare una casa a prezzi esorbitanti. È diventata un’impresa trovare un posto in doppia a meno di 300€; sulle 61 offerte più recenti del gruppo Bologna Affitto Studenti o Lavoratori, mi sono stupita davanti a due annunci di posti in doppia a 450€ e uno a 500€. Per le singole, il prezzo minimo è dai 400€ in su, questo fuori dalle mura. Chiedere caparre di 6 mensilità sembra essere diventata una pratica comune.

Vivere dove si studia dovrebbe essere la regola

Sì, potrei starmene a casa dei miei genitori in Portogallo e fare la magistrale a distanza, sfruttando le potenzialità offerte dalla didattica mista. Però non voglio. Oltre al fatto che le lezioni a distanza non offrono la stessa ricchezza di stimoli delle lezioni in presenza e non permettono lo stesso grado di partecipazione da parte degli studenti, per me frequentare l’università di Bologna significa anche essere cittadina di Bologna.

L’Università non è un’azienda che pago per ottenere CFU — anche se i suoi dirigenti la pensano così. L’Università è innanzitutto uno spazio dove pensiamo e dialoghiamo sul mondo intorno a noi, nel tentativo di costruirne uno migliore, un luogo di incontro e di riflessione aperto alla comunità. Oggi, le problematiche degli studenti e le gravi disuguaglianze sociali, razziali e sessuali che essi affrontano vengono nascoste dietro lo schermo dei loro PC: così l’università e i dirigenti politici riescono a scappare agilmente alle proprie responsabilità, con cui non devono più confrontarsi direttamente. Allontanare gli studenti è un ottimo modo per depoliticizzare l’Università. Io, comunque, sono intenzionata a lottare per il mio diritto di essere parte della città di Bologna.

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in copertina: foto CC-BY-SA 2.0 Michele Ursino